Discarica dell’informazione". Se la nostra società, come molti affermano, è la società dell’informazione nel senso che produciamo, ven" />

23/9
2004

Qualcuno, spero, capirà

Da anni penso ad Internet come alla "Discarica dell’informazione". Se la nostra società, come molti affermano, è la società dell’informazione nel senso che produciamo, vendiamo e consumiamo soprattutto messaggi(ni), immagini, suoni e fregnacce varie, la Rete è certamente la discarica a cielo aperto di questa società; un tempo abusiva, ora regolarizzata tramite condono, esaltata come faro di progresso. Semplicemente, si è ingigantita troppo per poterla ignorare, il suo olezzo si respira ovunque. Non sto dicendo che sia inutile: quando una società produce, vende e consuma inevitabilmente produce scarti, rottami, imballaggi e defecazioni.

Mucchi di rifiuti, dune, colline di informazioni accatastate le une sulle altre, intrecciate, in frantumi. La discarica non ha un custode ed i molti padroni non se ne curano, fingono di voler innalzare mura e reticolati ma ogni volta l’immondizia straborda, non se ne vedono i confini. Alla luce bassa del tramonto si vedono brillare frammenti di specchio e pozze d’acqua, bisogna appoggiare i piedi con attenzione perché non c’è nessun terreno sotto, solo cocci di ceramica bianca e pagine viscide di riviste pornografiche. Bisogna indossare stivali, guanti da lavoro e mascherina, se non ci si vuole tagliare o rimanere intossicati, bisogna aiutarsi con le mani e curvare la schiena per avanzare.

Camminando su queste colline di rifiuti, frugando nell’immondizia, si può occasionalmente trovare qualcosa di molto bello e prezioso, qualcosa di curioso o interessante. Si sa che la gente butta proprio di tutto, a volte persino se stessa. C’è persino chi ci abita, in questa discarica: persone che passano qui buona parte della propria giornata alla ricerca di chissà quali tesori o per gridare, in piedi su un frigorifero scassato, tutti i mali del mondo. Alcuni ci dormono pure. Molti, senza rendersene conto, da semplici visitatori sono divenuti parte della discarica, merce scartata e gettata. I più intelligenti o visionari si sono gettati da soli, in piena consapevolezza, perché forse la discarica è meglio di ciò che ne sta al di fuori.

La discarica un tempo era popolata solo di pazzi urlanti e di filosofi, di vagabondi che non trovavano altro posto per dormire e di idealisti che la sognavano una repubblica libera dai limiti della città. Ora ci arrivano in massa turisti con il metal detector e venditori ambulanti, famiglie in gita, ruffiani e spacciatori di caselle e-mail, poliziotti in borghese e predicatori in saio nero. La discarica è diventata come la città, la città e la discarica si identificano, non esiste più un confine.

Capita a volte, com’è sempre capitato, di vedere dei corvi volteggiare famelici sopra un mucchio d’immondizia particolarmente fresco ed invitante, già gonfio di grassi vermi. Odio le carogne troppo affollate, preferisco rosicchiare le mie ossa in un angolo, senza nessuno che mi disturbi. Capita a volte, però, che io decida di avvicinarmi per dare un’occhiata o lanciare un sasso, infastidito dal rumore o per umana curiosità; spesso all’ultimo minuto lo spettacolo è così rivoltante che la mano mi trema e volto le spalle agli uccelli ed ai cani che banchettano. Non li puoi scacciare né con il bastone né con le pietre né tantomeno con le parole, siano urlate o serene e ragionevoli: la discarica, come la città, è il loro ambiente naturale ed essi si devono cibare di immondizia e cadaveri come hanno sempre fatto. Provo invidia per quanti, disgustati come me, ancora trovino il coraggio di affrontare queste bestie e provare ad addomesticarle o ad allontanarle; so che non ci riusciranno e dovranno ritrarsi una volta terminate le pietre o le parole, ma invidio almeno la loro pazienza nel provarci. Io, come dico da tempo, ormai provo solo una nausea che mi debilita.

Quando avevo sedici anni, come molti altri della mia età, sdraiato sul letto fissavo il soffitto e sognavo di scappare con gli zingari, vivere sporco e lacero in giro per il mondo, di furto ed espedienti, senza vergogna o preoccupazione per le leggi e la morale di chi ha bisogno di quattro pareti ed un tetto per sentirsi a casa. Sogni ingenui ed offensivi, da ragazzino, sogni che purtroppo non ho fatto realizzare. Non sarei potuto diventare davvero uno zingaro, in ogni caso: zingari non ci si diventa ma ci si nasce, e forse è proprio questo il cuore della questione.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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