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10/10
2007

Le donne sotto il burqa

Altro burqaE’ da qualche anno che in Italia, come nel resto d’europa, c’è chi discute sull’opportunità di consentire o meno l’uso del burqa. Come ormai sanno anche i sassi, c’è una legge del 1975 con finalità presumibilmente antiterroriste che vieta di portare indumenti, caschi o altri artefatti che impediscano il riconoscimento personale. Dal ’75, tuttavia, l’erba è cresciuta ed i cavalli sono campati e secondo alcuni il fatto che il burqa sia indossato per "motivi religiosi" costituirebbe motivo di eccezione alla legge di cui sopra, purché lo si porti solo in casa, in moschea o nel percorso tra l’una e l’altra; non in banca o alle poste o in altri luoghi rapinabili, per dire. Questa opinione, che rivela una quanto mai alta considerazione delle donne e del loro ruolo attivo nella società, dev’essere condivisa anche dal prefetto di Treviso, il quale ha recentemente permesso l’uso del velo integrale purché, su richiesta, la persona che lo indossa sia in grado di farsi identificare. E’ necessario sottolineare come ancora una volta basti la presunta motivazione "religiosa" a rendere accettabile a molti un comportamento altrimenti considerato assurdo, illegale e sintomo di instabilità psicologica, ed anche come ancora una volta una notizia fastidiosa arrivi da Treviso, città che negli ultimi seimila anni ha dato solo fastidio.
La decisione del prefetto, come ampiamente prevedibile, ha scatenato il solito coro di polemiche da parte dei nostri beneamati parlamentari e dei nostri acuti giornalisti. Ci si muove sulla sottile linea che separa l’accettazione di altre culture e l’integrazione dalla difesa dei diritti umani e della legalità, alcuni ritengono che bisogni rispettare le tradizioni altrui a qualsiasi costo in nome della tolleranza assoluta, altri che il burqa sia uno strumento del fondamentalismo religioso e della sopraffazione maschilista sulle donne arabe, altri ancora che comunque la legge dev’essere uguale per tutti. C’è anche chi, come sempre, vaneggia di decisioni contrarie ai principi ispiratori della nostra civiltà e solo per questo verrebbe spontaneo muoversi in direzione opposta e dire "sì, macchissenefrega, ciascuno si vesta come vuole". Gli stessi musulmani sembrano critici rispetto a questa concessione: sia la lega musulmana che l’associazione delle donne marocchine l’hanno definita inaccettabile. L’opinione apparentemente più ragionevole, ma anche la più inutile, è stata espressa dal ministro di nonsoché Bindi: "Se é espressione di una imposizione sono contraria, ma se si tratta di una libera scelta perché espressione di una civiltà diversa allora non sono contraria". Grazie, cara, ma non è così semplice.
Innanzi tutto, da un punto di vista pratico non vedo come si possa distinguere tra i due casi. Si chiede a tutte le donne che indossano il burqa se lo stanno portando liberamente o vi sono costrette da qualche stronzo a casa? E se queste (sono nel campo della pura speculazione, eh) fossero costrette anche a dire che non sono costrette? Le si sottopone tutte al poligrafo?
Prima ancora, cosa vuol dire "espressione di un’imposizione"? Vi sono diversi tipi di imposizione, dalla costrizione fisica al condizionamento sociale e psicologico, che ha tanto maggiore effetto quanto più una persona ha scarsa istruzione, limitate possibilità di interazione sociale ed un’educazione basata in misura preponderante su una religione totalitaria. Detto in altri termini, una donna a cui fin dall’infanzia è stato insegnato a vivere sottomessa all’uomo ed a dio, che conosce solo i propri familiari e gli appartenenti alla propria comunità, che può uscire di casa solo per andare alla moschea (con il beneplacito del prefetto), è vittima di un condizionamento che va molto oltre l’obbligo di indossare o meno il burqa. Un’italiana che si converte all’islam può scegliere se indossarlo o meno: conosce le alternative, le ha provate e può scartarle. Una persona vissuta esclusivamente in un ambiente sociale dove vige il fondamentalismo religioso non è consapevole delle alternative, magari non vuole neppure conoscerle perché così le è stato insegnato e gli esseri umani tendono ad avere una certa paura dell’ignoto. Non che le donne musulmane siano le uniche creature sul pianeta esposte a forti condizionamenti sociali, ma credo abbiano meno possibilità reali di scelta rispetto a chi appartiene ad una cultura più aperta al relativismo; se non altro quest’ultima espone a tentativi di condizionamento contraddittori, provenienti da fonti diverse e con finalità contrastanti.
Burqa Il burqa colpisce molto l’immaginazione di "noi occidentali" perché negando l’identità fisica della donna diventa un simbolo molto evidente di quello che consideriamo un sistema di regole umiliante e maschilista. Ma è solo un simbolo, e concentrarsi su quello è una scappatoia sia per continuare ad ignorare le reali condizioni di vita delle donne nel mondo dell’integralismo islamico, in Afghanistan come a Treviso, sia per evitare qualsiasi valutazione degli aspetti maschilisti tuttora presenti nella nostra cultura. Non è vietando il burqa che si garantisce alle donne musulmane la parità dei diritti con l’uomo, non è concedendo il burqa che si tutela la loro libertà di scelta: è dando alle donne islamiche la possibilità di studiare, di trovare un lavoro dignitoso, di ricevere uno stipendio pari a quello degli uomini e di fare carriera alle stesse condizioni. Sembra un ragionamento un po’ marxista, lo so, perché questo permetterebbe non solo di rompere il monolitico controllo della religione sulla vita privata delle donne, ma rappresenterebbe anche (come altri hanno osservato) il primo indispensabile passo per liberarle dalla dipendenza dal maschio di casa e dalla necessità di assoggettarsi alle sue regole: la dipendenza economica provoca dipendenza psicologica e sociale. Ovviamente, però, ragionare su questo ambito comporterebbe anche l’interrogarsi su quanto sia sostanziale la parità di diritti tra uomini e donne nelle nostre società, dove viene spesso ancora dato per scontato che ad occuparsi della casa e dei figli sia la donna, dove la professione di "casalinga" appare una cosa tutto sommato normale, dove continua ad esistere una marcata differenza salariale di genere e dove le donne in posizione di potere politico ed economico sono in percentuale ridicola pur essendo spesso presenti sulle copertine dei settimanali e sulla maggioranza dei calendari. Potrebbe sembrare ipocrita, insomma, cercare di imporre ai musulmani quella parità di diritti che noi stessi stentiamo ad accettare, che tutto sommato consideriamo una gentile concessione da parte del maschio dominante. E poi, perché rischiare che magari anche le "nostre" donne si pongano domande scomode e pretendano qualcosa di più? Meglio non svegliare il can che dorme. Molto più comodo continuare a scazzarci sul burqa.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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