29/8
2007

Grosso guaio in Cina

Una volta si pensava che il problema della Cina, come di tutti i paesi comunisti, fosse il mancato rispetto dei diritti umani. Si credeva che la Cina fosse un brutto posto, uno stato da evitare e isolare e mettere al bando, perché i dissidenti politici venivano imprigionati e uccisi, perché la stampa era imbavagliata, perché i lavoratori erano sfruttati, perché non c’era, insomma, la democrazia, bensì quell’altro malvagio sistema di governo che andava sotto il nome di comunismo.

Poi il comunismo è morto, pace all’anima sua, e con il passare del tempo la Cina ha cominciato ad aprirsi alle pratiche economiche capitalistiche. Chi vuole investire in Cina, ora, può farlo. Anche gli stranieri possono farlo, ed ecco susseguirsi un via vai di missioni politiche e commerciali assieme, capi di stato ridottisi a fare da lacché ed apripista alle imprese dei rispettivi paesi o alle multinazionali, proprio come ai bei tempi delle conquiste coloniali. Più i cinesi aprono, più stranieri entrano, ansiosi di aprire la filiale, la fabbrichetta o la fabbricona, là dove i costi di produzione sono bassi ed il mercato ancora vergine. I cinesi imparano rapidamente a fare gli imprenditori, ed i prodotti Made in China che sbarcano nel West euroamericano non sono più solo la produzione terziarizzata dei grandi marchi, ma anche autentiche schifezze prodotte da autentici marchi cinesi, e noi giù a commentare quanto siano scadenti e chissà che materiali e chissà come vengono trattati i lavoratori che li hanno fatti e comunque è concorrenza sleale.
Torniamo indietro di tre righe: i "nostri" imprenditori, i mattel/puma/nike/sony ecc. ecc., sono andati in Cina prima di tutto perché i costi di produzione erano più bassi. Costi di produzione più bassi significa: stipendi più bassi e norme meno severe sulla tutela dei lavoratori e dell’ambiente. Significa: puoi pagare meno i dipendenti, sottoporli a turni massacranti, far lavorare i bambini, inquinare e disfarti dei materiali di scarto nel modo più economico possibile, you’re welcome.
E non è che sia una novità, ogni tanto emerge qualche caso eclatante, qualche iceberg particolarmente schifido in questo mare di escrementi socioeconomici, si monta lo scandalo e l’opinione pubblica occidentale cade dal pero e se ne occupa per qualche giorno, poi la multinazionale coinvolta fa una dichiarazione d’intenti, sposta la fabbrica trecento chilometri a sud, versa due milioni in beneficienza e buonanotte. Noi ci scandalizziamo e poi ci descandalizziamo con disinvoltura, ché siamo ormai abituati. Con l’espansione dell’economia cinese il fenomeno non è in diminuzione, casomai sta aumentando, e questo nonostante le operazioni di facciata e di immagine messe in atto dal governo cinese e sostenute dall’Internazionale Capitalistica, quali i prossimi Giochi Olimpici.

Il vero problema della Cina, quindi, non erano i diritti umani. Era il fatto che gli imprenditori occidentali, e quindi indirettamente i consumatori occidentali, non potessero sfruttare economicamente quella vantaggiosa mancanza di diritti. Quelli che non sono d’accordo con questa situazione, possono ancora una volta scegliere tra il silenzio e l’illegalità: la libertà di stampa è ancora un miraggio, e neppure l’avvento di Internet è riuscito a spezzare le catene del controllo governativo, anche grazie alla complicità tecnologica delle multinazionali informatiche sempre pronte a fornire strumenti per controllare, censurare, identificare. A cui segue, volendo, arrestare e condannare. Alcuni, cabarbiamente, ci provano lo stesso: è di questi giorni la notizia che oltre mille personalità del mondo intellettuale cinese hanno rivolto una lettera aperta al proprio governo chiedendo la liberazione dei prigionieri politici, libertà di stampa e libertà di parola. Rischiano non poco e del resto anche questa notizia, in Cina, è già stata censurata. Servirebbe magari che almeno qui queste richieste di democrazia trovassero sostegno, che venissero rilanciate, che si facessero pressioni, che i nostri governi ed intellettuali e giornalisti fossero un po’ meno ipocriti.
Ma non è chiaro quanti di questi dissidenti cinesi abbiano cugine gemelle bionde e losche, per cui probabilmente non se ne parlerà più di tanto.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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