19/8
2014

Il Paese che lamo

E tre.
Se qualcuno di voi pensava che il delitto Montesi, l’omicidio di Mattei, la morte di Giangiacomo Feltrinelli, la strage di Piazza Fontana, dell’Italicus, di Piazza della Loggia, della stazione di Bologna ed il rapimento di Aldo Moro fossero troppo per una persona sola, è evidente che non avete mai sentito parlare di Andrea Sterling. E se non avete mai sentito parlare di Andrea Sterling, possano i vostri passettini innocenti non attraversare mai la strada del più grande figlio di puttana che la storia patria ricordi, con l’unica possibile e non dimostrata eccezione di Walter, il bullo che veniva in seconda media con me.

Come potete a questo punto immaginare, l’ormai solo parzialmente barbuto Simone Sarasso ha preso una pausa dalla sua versione alternativa della storia di Asterix per concludere con "Il Paese che amo" quella che tutti (ma soprattutto lui) chiamano la "trilogia sporca" italiana: la storia di come Andrea Sterling, giovane carino cresciuto tra le amorevoli torture di un ospedale psichiatrico, arruolato in polizia è salito di delitto in delitto ai vertici dei servizi segreti italiani, ha fatto carriera in Gladio, ha organizzato e/o eseguito materialmente e/o commentato entusiasticamente su facebook le principali stragi pubbliche e private avvenute nel nostro Belpaese per poi cadere in un vortice di depressione ed altri omicidi avendo realizzato che no, non ci sarebbe stato un colpo di stato fascista e no, non c’era veramente modo di uccidere Andreotti senza raccogliere tutti gli horcrux e soprattutto no, non importa quanti comunisti ucciderai, tua madre alla fine non verrà a prenderti perché non ti ha mai veramente amato.

Ora vi spoilero la trama, perché il taccheggio alla Feltrinelli è sempre più rischioso e dovete sapere che ne vale la pena. Ma prima, una doverosa precisazione: ancora una volta, il bravo Sarasso si mette d’impegno a fracassare i maroni cambiando tutti i nomi dei personaggi realmente esistiti per garantirsi migliore libertà creativa, quel genere di libertà che non puoi avere se Maurizio Costanzo ti fa causa perché hai scritto che a casa sua non si tromba dai primi anni Settanta. Ma poiché io non ho motivo di temere che gli avvocati di Maurizio Costanzo e di suo marito querelino Simone Sarasso, in questa rece raddrizzerò i nomi in modo che anche il lettore che non ha ancora familiarità con Sarassolandia possa capirci qualcosa. E se Sarasso non fosse d’accordo, in fondo cosa può farci?
Per dirlo con parole sue:
Un gran. Bel. Cazzo.
Procediamo.

Inizio anni Ottanta: il nostro amico Andrea Sterling, sconfitto nel capitolo precedente dal malvagio gobbo Andreotti, si è ritirato da qualche tempo a crimini privati organizzando la famosa "Pizza Connection" per l’esportazione di eroina negli Stati Uniti dentro i barattoli di pelati. Bettino Craxi, divenuto da poco Presidente del Consiglio, lo richiama a Roma e gli offre il suo vecchio ruolo di capo dei servizi segreti per usarlo come arma nella battaglia politica contro il vecchio divo Giulio, in un groviglio di vendette tramate in silenzio, parole non dette e rancori sopiti che ricordano tanto alcune delle mie migliori storie d’amore. Gli intrighi di palazzo, tuttavia, non spaventano Sterling: ci sono probabilmente nuovi attentati da organizzare e di certo tutti quei comunisti non si ammazzeranno da soli, per cui accetta l’incarico istituzionale per senso di responsabilità.
La delusione però è subito dietro l’angolo: Craxi non condivide le sue posizioni di politica internazionale e quando i terroristi palestinesi che hanno dirottato l’Achille Lauro vengono bloccati dagli americani nell’aeroporto di Sigonella, il Presidente del Consiglio decide di proteggere i palestinesi e la propria relazione con Arafat invece che lasciare mano libera agli americani o, come avrebbe preferito Sterling, uccidere sia i terroristi che gli americani, i carabinieri, il personale aeroportuale, i passeggeri e l’equipaggio della nave da crociera nonché i loro parenti ed amici più prossimi così da dare a tutte quelle zecche schifose una bella lezione.
Andrea Sterling deve così fare i conti per la prima volta con il tempo che passa: i settant’anni si avvicinano, i socialisti sono al governo, lui deve lavorare per loro e si dica quel che si vuole, sotto il centrosinistra non si uccide più bene come sotto la DC. Neanche le sue beneamate pasticche riescono a tiragli su il morale, neanche le sveltine con Ilona Staller alle feste dell’ambasciatore o i complotti con i servizi segreti polacchi per ammazzare il papa, neanche le improbabili gite in Belgio alla ricerca di supermercatini comunisti dove far strage di innocenti.

(Sì, Sterling è un settantenne in forma. Alla sua età mio nonno ci rimase secco solo a vederla su un giornalino, Ilona Staller.)

Proprio quando le cose stanno andando male, insomma, proprio in un momento qualsiasi della storia italiana, ecco poi arrivare a tradimento la vendetta di Andreotti. Da un covo delle BR di via Monte Nevoso a Milano il gobbo fa sbucare un memoriale di Aldo Moro in cui narra tutta la vicenda di Gladio, rovinando irrimediabilmente l’onore, la reputazione e la rispettabilità di Andrea Sterling: viene infatti grossolanamente sottostimato il numero degli omicidi, e si lascia intendere che abbia avuto un momento di esitazione prima di uccidere la madre di Bambi.

A questo punto, braccato assolutamente da nessuno per tutto il resto del libro, Andrea Sterling si comporta esattamente come io avevo predetto quasi tre anni fa: si ritira a coltivare cavoli in un orto sugli Apennini, con il solo conforto delle saltuarie visite dell’omai parlamentare Ilona Staller e di episodiche gite di violenza in cui dirige in azione il gruppo della Uno Bianca alla ricerca di gente qualsiasi purché vagamente di sinistra da far fuori.
Proprio così, piccoli amici, si conclude la parabola criminale di Andrea Sterling, il braccio armato più incazzato del padronato, massone, mafioso, fascista, tossicomane, ex capo di Gladio, ex capo dei Servizi Segreti Deviati e di quelli Non Deviati, esecutore materiale della morte di più gente della peste bubbonica del 1347, ideatore di innumerevoli colpi di stato nonché delle più prestigiose trame occulte della prima repubblica: finisce per incendiare i campi nomadi perché sono sporchi, ammazzare i benzinai negri perché sono negri e rapinare le coop perché francamente 50 bollini + € 4,90 per un bicchiere di cristallo colorato sono un furto. Da John Rambo a Calderoli in meno di duemila pagine, che fine agghiacciante.

Nel frattempo, il cerchio sta per stringersi attorno a lui per l’ultima volta: la mafia gli chiede un ultimo favore, la morte del giudice Falchellino, scampato miracolosamente all’attentato di Capaci (in questo libro Falcone e Borsellino sono stati riuniti in un unico personaggio per il gusto di poterlo ammazzare due volte). In realtà, il nuovo capo di Cosa Nostra è d’accordo con Andreotti per approfittare di far fuori anche Sterling nell’attentato di via d’Amelio, contemporaneamente ma indipendentemente dai servizi segreti polacchi che a loro volta lo vogliono morto per ragioni non chiarissime ma sicuramente valide. In ogni caso, potete immaginare come va a finire?

No, non ve lo dico. Ma è un finale talmente ignobile per uno come Sterling, uno che per quarant’anni ha tenuto in mano le palle d’Italia e le ha usate come anti-stress, uno che se voleva sapere che ora fosse uccideva qualcuno a caso per sbirciare l’orario di morte sui referti, che a dire il vero se lo meritava proprio.

Storie collaterali che non ho citato: Ilona Staller povera ragazza dell’Est Europa che viene in Italia, diventa una pornostar famosissima e contesa da tutto il bel mondo, poi amica di Craxi e parlamentare ma sempre sotto ricatto da parte di un agente segreto polacco con l’alito che puzza ed il braccio finto, Matteo Messina Denaro che fa tutta la scalata a Cosa Nostra senza togliersi i rayban, l’integerrimo giudice Falchellino che lotta contro la mafia, Maurizio Costanzo che esplode acciso, Mauro Rostagno fugacemente citato e rapidamente ammazzato, Antonio Di Pietro giudice meridionale a Milano che scopre Tangentopoli a mani nude, Bettino Craxi che si gusta il potere per circa cinque minuti prima di essere nuovamente scaricato dal popolo bue, Silvio Berlusconi amico di Craxi che però si sgancia all’unico secondo. Insomma, roba che avreste potuto benissimo leggere sul giornale se foste stati in grado di leggere negli anni Ottanta.

Tra i dettagli minori di cui non ho capito il senso, devo citare tutto un casino per coinvolgere Ilona Staller nell’attentato al papa polacco al fine indebolire Solidarnosc, quando poi il ruolo della bella pornostar si limita a guardare la scena dalla finestra con il binocolo. Inoltre, Andreotti ha ripreso misteriosamente a fumare dopo aver scassato i coglioni per tutto il libro precedente cercando di smettere. Infine, il piccolo dettaglio trash che contribuisce a rendere "Il Paese che amo" un capolavoro: il giudice Falchellino che ascolta "Canzone per un’amica" dei Nomadi al momento della strage di Capaci. Genialità pura distillata in inchiostro e messa nero su bianco, o forse sublime cazzatona, un giorno i posteri lo sapranno dire.



Resta solo un piccolo appunto personale, un dubbio insoluto alla fine del romanzo che potrebbe o non potrebbe richiedere un quarto capitolo per essere dipanato. E’ il Gennaio del 1994, Craxi è in esilio, Berlusconi è decisamente in corsa per prendere il potere in Italia, i servizi segreti polacchi sono stati debellati, Matteo Messina Denaro è costretto alla latitanza ed Andrea Sterling è omissis: allora chi cazzo ha detto ai miei dove nascondevo le sigarette?

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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