22/2
2010

L’osteria ai confini del mondo

Sabato sera, io ed Amormio ci sentiamo con i Pornorambi e decidiamo eccezionalmente di andare a mangiare qualcosa fuori. Questo essenzialmente per due motivi:
1. Non li vedevamo dal decennio scorso
2. Nessuno aveva voglia di cucinare.
La meta prevista era quel famoso ristorante greco che hanno aperto da poco a Vincenza, ma a quanto pare occorre prenotare almeno una settimana prima. Ho cercato di spiegare al sig. Kazokusinos che una simile pretesa è assolutamente improponibile ai tempi del web 2.0, che al massimo potevo inviargli un tweet mezz’ora prima, che io non so neanche se tra una settimana sarò vivo o morto, uomo o donna, astronauta o camion dei pompieri, ma lui si è fatto scudo del proprio buffo accento ricco di consonanti rivelandosi irremovibile, e non c’è stato verso di convincerlo. Allora per stizza abbiamo cercato se a Vincenza esistesse un ristorante turco-cipriota, ma pare che no. Abbiamo passato rapidamente in rassegna (mentale) tutti gli altri ristoranti etnici della città, poi i ristoranti normali, poi le trattorie, poi i carrettini dei panini, fino a quando Amormio se n’è uscita con la proposta di andare a cercare la famosa Osteria da Carletto, uno di quei luoghi mitologici che figurano da secoli nella mitologia veneta, ma la cui esatta ubicazione è segreta e può essere tramandata solo da bocca di alcolizzato ad orecchio di alcolizzato per preservarla dalle insidie della modernità.
Approssimativamente sapevamo che l’osteria era in un paesino disperso nei dintorni del capoluogo, paesino che per discrezione chiamerò "FimonX", sulle rive dell’omonimo lago. Il problema è che per celare l’osteria sono stati accuratamente nascosti tutti i cartelli che portano al paese, e l’intera zona è circondata da apparecchi scientifici che emettono una luce verde intermittente in grado di disturbare il segnale del gps. In altre parole, ci siamo persi. Dopo aver vagato per qualche tempo lungo stradine di campagna desolatamente strette e buie, scorgiamo in lontananza il riflesso di alcune luci sull’acqua e capiamo di essere arrivati in prossimità del lago, chiaramente sulla sponda opposta rispetto al paese, ma comunque molto prossimi alla meta. Proseguiamo fiduciosi, giusto chiedendoci come mai - ahah - il lago che dovrebbe essere alla nostra sinistra sembri stagliarsi da entrambi i lati della carreggiata, quando in mezzo alla strada compare un curioso cartello di divieto di transito con sotto il disegno delle ondine. Ci guardiamo preoccupati, Pornorambo fa appena in tempo a dire "Mannò, vuole solo indicare che eventualmente potrebbero esserci delle pozzanghere..." che la strada di colpo si interrompe, inghiottita dal lago medesimo. Vorrei trovare le parole per descrivere la visione surreale di quell’immensa distesa d’acqua avvolta nella notte, della nebbiolina spettrale che sembrava volerci venire incontro ed avvolgerci, delle campagne deserte (ma potenzialmente affollate di serial killer) che incombevano alle nostre spalle, ma ritengo che "surreale" sia già più che sufficiente. Forse un’immagine sarà più esplicativa:

Questo è quello che si presentava di fronte ai nostri occhi

[Non esplicativa come avrei voluto, temo.]


A quel punto, lago allagato o meno, naturalmente raggiungere l’osteria era diventata una sfida, anche considerando che nei paraggi non c’era nessunissimo altro posto dove andare a mangiare e la nostra fame stava diventando importante. Dopo aver rapidamente scartato l’ipotesi di guadare abbiamo fatto marcia indietro ed abbiamo costeggiato tutto il (fottuto) lago esondato fino a raggiungere finalmente il (maledetto) paesino, lungo le cui strade ormai non si vedeva anima viva essendo ormai già quasi le dieci di sera. Per pura combinazione, dopo aver sbagliato ancora una volta strada e proprio mentre stavamo per perdere le speranze, le mie narici ormai fuori allenamento hanno percepito in lontananza un vago profumo di alcol ed ho così indovinato la direzione dell’osteria. Da fuori sembra una vecchia locanda decrepita, e questo ci ha riempito di soddisfatta meraviglia. Poi siamo entrati.

L’Osteria è fantastica.
E’ il genere di posto che sognavo quando "ubriaco" non era solo una condizione temporanea dovuta all’eccesso di alcol nell’organismo, ma l’indicazione del mio stato civile sulla carta di identità. Entrerei più nel dettaglio, ma davvero, stavolta non ci sono proprio parole per descrivere quei cosi, tutti quei cosi che cosavano le cose, i cosi appesi, quegli altri cosi, e le cosine cosate che cosavano sui cosi. E’ l’idea platonica di Osteria, l’Osteria perfetta, l’idealtipo weberiano di Osteria. Anche se le bruschette non sono poi granché, purtroppo.
E dopo tanto peregrinare la serata è passata così, tra un bicchiere di vino e l’altro, mangiando quelle-piadine-greche-col-nome-buffo ed affettati misti, giocando a forzaquattro e raccontandoci i fatti, buonini e rilassati come alici nel paese delle meraviglie, mantenendoci quel tanto al di qua del limite dell’ubriacatura per non rischiare di cadere nel lago sulla strada di casa.
Quel tanto che basta.

Ma non metto in dubbio che anche la finale di Sanremo in tivù sia stata stupenda, per carità.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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