28/1
2016

La banalità del bianco

Recentemente, per motivi eterodossi, mi sono trovato a passeggiare brevemente per i corridoi della facoltà di sochologia a Trento. Avevo frequentato gli stessi corridoi con molta più assiduità intorno alla fine degli anni Novanta, e mi è stato difficile non provare una certa afflizione. Lo storico edificio di via Verdi è stato negli anni rimesso a nuovo, ridipinto, lustrato: tutto mi è sembrato più moderno e pulito, meno accogliente. Non ci sono più i bagni misti dove si fumava in attesa di un esame, sparita la piccionaia, scomparse le macchie nere sui pavimenti delle aule dove erano state spente innumerevoli sigarette, in un’era precedente la nostra. I ragazzi ci soffrono ancora ma sono ragazzi splendidi, moderni e puliti, ben diversi dai cialtroni maleodoranti che eravamo noi, riconoscibili ad un chilometro. Questi hanno capelli pettinati e sopracciglia ad ala di gabbiano, potrebbero studiare qualsiasi cosa, in un posto qualsiasi. Della vecchia sochologia, da questa rapida visita, mi sembra essere rimasto soltanto il guscio. Magari mi sbaglio, certamente sono passati molti anni ed il mondo cambia, mentre noi guardiamo splendide serie tv e giochiamo al cellulare. Il mondo cambia, mentre noi ci sporchiamo le mani per cambiarlo o per cercare di tenerlo fermo. Il mondo cambia, mentre noi continuiamo a correre in avanti come maratoneti spompati, ed è giusto oltreché inevitabile. Persino i ricordi, cambiano. Ci si divertiva, a sochologia, ma sicuramente non era il nostro passatempo principale. Di ore spese ad amare e soffrire ed odiare e dormire e fissare il soffitto e spremersi il cuore e il cervello rimangono solo le schegge più brillanti, gemme strappate alla sabbia. Il vero delitto è cercare di rendere normale qualcosa di speciale, tornare a camminare per quei corridoi e scoprirli ridipinti di bianco. Ordinati. Banali. Poi capisci che così è com’era previsto che fossero fin dall’inizio, come forse erano sempre stati. Siamo stati noi a riempirli di scritte e cicche appiccate. Per questo è così doloroso, quel posto era speciale perché mi apparteneva, mi corrispondeva di una corrispondenza che non può essere confrontata coi fatti né espressa a parole, si nutre di ricordi, sensazioni, sentimenti, giochi di sguardi tra noi e il tempo che passa. Il gigantesco non detto. Spero che sochologia sia ancora speciale per quelli che la vivono ora, anche se sarà uno speciale diverso dal mio. In ogni caso, dovessero anche crollare le colonne del portico e le aule vuote trasformarsi in una squallida banca, dovessimo anche morire o dimenticare tutti, la corrispondenza continuerà a sopravvivere agli anni, alle rughe, ai successi ed ai fallimenti, ai contratti, ai naufragi, ai segreti ed alle bugie, ai silenzi, ai tradimenti e persino alla cosiddetta ed improbabile normalità. Troverà un suo canale speciale nella nostra storia personale, come un rigolo d’acqua che viene inghiottito dalla terra e sgorga dal nulla cento chilometri più in là, vent’anni dopo. Non nel passato, sempre nell’istante. Per questo è speciale.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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