9/12
2009

Sulla via di Damasco

Emergono inquietanti similitudini tra la mafia ed Al Qaeda: pare che anche Cosa Nostra, infatti, sarebbe guidata da un leader misterioso ed inafferabile supportato da una miriade di "numero 2" che si fanno arrestare in sua vece nel momento del bisogno (di chi li arresta). Non si conoscono altre organizzazioni nella storia della civiltà umana con un numero così alto di vice-capi, ad eccezione del Partito Democratico che però si può considerare un’organizzazione solo in senso molto lato.

Torna di moda in questi giorni la polemica sui pentiti, a causa di questo tale Sputazza che ha accusato Berlusconi e Dell’Utri di essere, rispettivamente, Berlusconi e Dell’Utri. Come sempre in questi casi, gli accusati si difendono affermando di essere i principali paladini della lotta contro la mafia (vedi arresto allegato) e che il pentito sarebbe un falso pentito che vorrebbe trascinare all’ergastolo con sè i suoi principali avversari, forse nella speranza di ritrovarseli in cella assieme e sottoporli alla dura legge dell’amore carcerario, delegittimando il governo ed inficiando in modo irrecuperabile il processo di beatificazione del nostro Amato Lestofante Capo e del suo fido scudiero. L’opposizione, riunita in piazza, chiede a gran voce le dimissione del premier, cosa che peraltro faceva anche prima delle dichiarazioni del pentito. Da parte del Partito Democratico, invece, si osserva con pacatezza che le affermazioni del pentito andranno verificate, e che una volta verificate si potrebbe forse eventualmente prendere in considerazione l’ipotesi di chiedere con gentilezza che il premier, se non ha impegni precedentemente assunti, esponga in parlamento o in televisione le sue ragioni, ovvero che il pentito sta comunque mentendo ed i giudici non dovrebbero fare domande. Ad ogni modo, sono tutti concordi, è ora di smetterla di credere ai pentiti e di togliere loro quegli ingiustificati privilegi di cui godono in quanto pentiti. Qualcosa non mi torna.

Il cosiddetto "pentitismo", ovvero la pratica di concedere sconti di pena, protezione e vantaggi materiali di varia natura agli appartenenti ad un’organizzazione criminale che si "pentono", ovvero che collaborano con la magistratura allo smantellamento dell’organizzazione a cui appartenevano, è una pratica che in Italia si è cominciata ad usare alla fine degli anni Settanta. A quel tempo, cari amici bambini, in Italia esisteva un certo numero di organizzazioni politiche clandestine che si dedicavano alla lotta armata ed avevano ottenuto un certo numero di trucidi successi. Dopo una quantità decisamente eccessiva di morti ammazzati, si pensò di smantellare queste organizzazioni sostanzialmente pagando i militanti arrestati affinché fornissero indicazioni per catturare quelli ancora a piede libero. Forse come incentivo iniziale venne usata anche qualche torturina, in fondo si trattava di difendere la democrazia, ma una volta rotto il saldo vincolo di fiducia che legava i terroristi è facilmente comprensibile come il pentitismo sia diventato di gran voga tra i rivoluzionari in gheba, i quali in genere preferivano fare una profittevole chiacchierata con gli investigatori prima che lo facesse qualcun altro a loro discapito. Non bisogna dimenticare, inoltre, che i vantaggi per il collaboratore erano tanto maggiori quante più informazioni elargiva; non c’è quindi da stupirsi se una volta esaurita la memoria qualcuno metteva al lavoro la fantasia. Il giochetto, naturalmente, funzionò, le organizzazioni politiche clandestine collassarono ed il dibattito armato sullo Stato Imperialista delle Multinazionali terminò stancamente nelle carceri speciali. E’ per questo che oggi viviamo in una democrazia. Una volta terminati i terroristi a disposizione, si pensò di applicare la stessa tattica alle organizzazioni di stampo mafioso. Anche in questo caso, seppure in modo meno eclatante, i successi non mancarono. Alcuni mafiosi scelsero di collaborare con la magistratura, va da sè in cambio di sostanziali sconti di pena, un fottio di soldi e la possibilità di non essere strangolato in carcere. Da un punto di vista etico, magari, qualcuno potrebbe storcere il naso: si tratta pur sempre di pagare qualcuno perché faccia da delatore. Ma serve per uno scopo più grande, e funziona, quindi fanculo agli scrupoli. Grazie ai pentiti si è finalmente capito com’era organizzata Cosa Nostra ed a pizzicare qualche boss, e tutto sembrava avviato verso la definitiva trasformazione della Sicilia in un colossale parco giochi quando improvvisamente i politici cambiarono opinione sui pentiti ed iniziarono a sollevare obiezioni sulla loro affidabilità. Cos’era successo? Da un lato, alcuni mafiosi avevano fatto i furbi, rilasciando dichiarazioni fasulle allo scopo di inguaiare degli innocenti e di ostacolare le indagini. Questo, però, era successo anche con i pentiti della lotta armata e sostanzialmente non era interessato a nessuno, tant’è vero che ancora oggi vengono ricercati terroristi accusati solo da pentiti di dubbia credibilità e nessuno ha mai avuto nulla da ridire. Dall’altro lato, però, alcuni pentiti di mafia hanno cominciato a parlare non solo dei propri complici mafiosi e dei propri capi mafiosi, ma anche dei referenti politici che da qualche parte tiravano i fili o traevano vantaggi dall’operato mafioso. E questo, naturalmente, è un affronto insopportabile alla democrazia del nostro paese. Nel momento in cui i pentiti cominciano a parlare dei politici, i politici decidono che i pentiti non erano più affidabili come una volta. E da qui una campagna di delegittimazione, una riduzione degli incentivi al pentitismo, un garantismo precedentemente sconosciuto a tutela degli accusati. Insomma, i pentiti andavano benissimo quando servivano a fermare il terrorismo politico, andavano benone quando servivano a sferrare i primi colpi contro la mafia, vanno decisamente male nel momento in cui coinvolgono pezzi grossi della politica nazionale. Perché dai, politici mafiosi, in Italia? E’ assolutamente inverosimile. Ecco allora quello che non mi tornava prima. Il pentitismo, al di là dei dubbi sulla sua validità etica, non è uno strumento che funziona in sè, per le sue proprie qualità, ma un’arma che lo Stato usa contro i propri nemici, anzi, prima ancora, per scoprire chi siano i propri nemici. E lo Stato non può permettersi di scoprire che i propri nemici sono al suo interno, che è egli stesso il proprio nemico, non può puntare quell’arma contro se stesso, a meno che l’arto dello Stato che impugna l’arma sia sano, indipendente e libero di intervenire sugli altri arti per amputarne le zone corrotte. Potrebbe, se la magistratura giudicasse tutti i cittadini come eguali ed avesse quindi la volontà e la licenza di mettere in discussione, prima ancora che condannare, i capi dello Stato così come ha fatto ha per i capi del terrorismo e della mafia, ovviamente verificando l’attendibilità di e cercando prove di, ma in Italia al momento questo davvero, dai, è assolutamente inverosimile.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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