12/12
2007

Un leggero languorino

Essendomi trovato ieri sera ad affrontare la sconsolante mancanza di pasta sfoglia Coop sugli scaffali del supermercato, mi sento anch’io titolato a commentare la protesta degli autotrasportatori, che infiniti lutti sta adducendo agli italici. L’aspetto più interessante di questa vicenda non è la mancanza di polso con cui le istituzioni hanno affrontato il problema, e neanche il modo immondo e violento con cui la protesta è stata messa in atto dai camionisti. Lascio ad altri, per una volta, anche sottolineare come uno dei principali ideatori del fermo dei tir sia un deputato di Forza Italia, anche se questo francamente dà a tutta la faccenda un accento cileno. Non mi soffermo neppure, per quanto sia un tema interessante, sulla constatazione di come il potere ricattatorio degli autotrasportatori derivi dal fatto che in Italia il trasporto merci avviene quasi esclusivamente su strada anziché via treno o con altri mezzi, egemonia che a sua volta dobbiamo a decenni di regali alla Fiat di Agnelli ed ai suoi amici piduisti. Preferisco anche sorvolare sull’allarmismo dei giornalisti, che avendo trascurato di informare per tempo ed adeguatamente i cittadini, hanno poi rimediato incitando il popolo bufalo all’accaparramento selvaggio, a fare scorta di tutto in vista di un inverno senza più benzina, cibo, medicinali, ambulanze e per fortuna che nessuno ha ancora citato la carta igienica. Anche se ci stiamo avvicinando. L’aspetto che più mi ha colpito di questa nuova tragicommedia all’italiana, infatti, è come stiamo reagendo di fronte ad uno di quegli incubi atavici che credevamo di avere rimosso, la fame. Sono sicuro che questi due giorni di blocco autostradale non hanno intaccato minimamente la dieta di nessun italiano, che ci vorrebbero diversi altri giorni prima che supermercati e negozi di alimentari finiscano davvero con lo svuotarsi di ogni sostanza commestibile, e che altri ancora ce ne vorrebbero prima che si esaurisca la riserva di cibo che ciascuno di noi castorini tiene al sicuro in dispensa; neanche il camionista più intransigente potrebbe durare tanto, anche perché se a lui i panini li fornisce paradossalmente la protezione civile, stavolta non c’è la CIA a portargli di che sfamare la moglie, i pargoli ed il nonno malato. Eppure, nel belpaese si respira già un clima da emergenza: non solo tutti sono corsi dopo anni di rabbocchi a fare il pieno di benzina ma tra i commenti della gente ed i carrelli della spesa serpeggia sottintesa l’ansia di accumulare scorte, la paura più antica di tutte, quella di non trovare niente da mangiare. Con la solita compostezza gli italiani si dividono tra quelli che vorrebbero dare l’assalto a Palazzo Chigi per costringere il governo a cedere tutto e subito e quelli che invocano la legge marziale, il napalm sui camionisti; i più tranquilli controllano l’andamento dei negoziati come se si fosse a Cuba nel ’62, i pochi saggi ricordano che non c’è niente da temere, che tutto si sistemerà a breve, che per fortuna hanno fatto la spesa ieri. La preoccupazione, che durerà poco, trascende per una volta classi sociali e simpatie calcistiche o di partito e ci accomuna agli altri animali, costringendoci a guardare in faccia un aspetto della realtà che quotidianamente abbiamo imparato a trascurare: i soldi, tanto quelli belli fruscianti quanto quelli virtuali dei conti in banca, non si mangiano. Siamo nel G8, il PIL è più o meno in linea con quello degli altri paesi, la tredicesima è in arrivo, ma improvvisamente l’importanza che attribuivamo a quel nuovo lettore mp3 o ai cerchi in lega o alla legge elettorale rischia di essere fortemente ridimensionata. Cu-cù, è tornato il fantasma della fame. E’ solo un fantasma, eh, ma è pur sempre fame. La stessa fame che sopprimiamo freneticamente prima ancora che si manifesti ingozzandoci di spuntini ad ogni scampanellìo dello stomaco, la fame che siamo abituati a vedere in televisione, bambini con la pancia gonfia e mosche attorno agli occhi, la fame che commuove alla messa di natale, quella che disprezziamo negli occhi dei mendicanti, la fame che ormai da anni è un problema degli altri, di chi in fondo in fondo se lo merita, la fame dei racconti dei nonni e della guerra, dei rimproveri di quando lasciavamo la roba nel piatto, la fame che ti svuota le vene, la fame che ormai ci è sconosciuta, non il sano appetito di chi ha fatto sport o lavorato intensamente, quella che non deriva da qualche dieta ma dal non mangiare, il non mangiare perché non c’è cibo. Pensavamo di essercelo lasciato alle spalle, questo fantasma, di averlo esportato in paesi lontani assieme alle guerra ed alle scorie nucleari, non lo sappiamo più riconoscere nemmeno quando arriva dal mare sui barconi affollati o nei doppi fondi degli autotreni, eppure basta niente a scoprire che non è mai andato da nessuna parte, che ci siamo limitati a seppellirlo in uno di quei pozzi profondi che ci portiamo dentro, che anche noi popolo di fighetti avvolti in morbidi strati adiposi di fronte ad uno scaffale vuoto siamo solo povere bestie con un’inutile carta di credito ed un brivido freddo lungo la schiena.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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