"Ma che c’entra? Quella non era mica la guerra " />

26/10
2007

Una storia di guerra

"Quando passavi le giornate nella casina calda con babbo e mamma e giocavi al computer. Intanto fuori c’era la guerra e ti importava una sega."
"Ma che c’entra? Quella non era mica la guerra nostra."
"Ah no? E perché? Quanto ti devono scoppiare vicino le bombe, per farti dire che una guerra è tua?"


(Gipi, "Appunti per una storia di guerra")



Comincio a parlare di un libro citando un altra cosa che non c’entra un cazzo*. Questo probabilmente fa di me il re dei recensori letterari di questo paese.
Il libro di cui parlo è "Sappiano le mie parole di sangue", di Babsi Jones, Rizzoli eccetera eccetera e qui ci sta il disclaimer: cercherò di parlare del libro in modo onesto, che é già tanto, ma ricordo anche che leggo e stimo l’autrice da tempo ed aspettavo questo libro da qualche mese, senza peraltro sapere cosa aspettarmi; quella di Babsi Jones non è una scrittura che ti coccola e ti intrattiene raccontandoti quello che ti piace sentirti dire tra la cena e il film su sky e la buonanotte. Quanto di più lontano da Harry Potter, per intenderci. Sarà (anche) per questo che sta sulle balle a molti, avendo scelto di dispiacere per non pagare il prezzo di dover piacere a tutti. A me va bene lo stesso, come scrive e quello che scrive, se non sempre** direi quasi. Anche se non compiace.
Anche questo libro non compiace né consola un cazzo. Alcuni lo hanno definito capolavoro, e non so, non me ne intendo, bisognerebbe mettersi d’accordo sul significato da dare alla parola, ma nel dubbio partiamo dal presupposto che no, non sia un capolavoro, così tiriamo un sospiro di sollievo, ci leviamo di torno questo termine ingombrante e che se la grattino i posteri. Altri hanno cominciato a sganciare merda fin dalla copertina, per poi passare alla quarta di copertina, per poi fermarsi lì perché a leggere sul serio si fa troppa fatica e comunque sanno già tutto, hanno già capito tutto, smascherato il grande circo mediatico, sgonfiato l’hype e possono tornare a scodinzolare nello spazio commenti delle migliori blogstar. Per un pugno di visitors.
Mi verrebbe da dire: prendete e leggetene tutti, e fine della storia. Ma "Sappiano le mie parole di sangue" merita che mi dilunghi un po’ di più, per quanto il consiglio sia lo stesso buono se avete fretta. Ma sarebbe buono anche "Evitatelo", perché potrebbe farvi star male, se non siete uno di quegli stomaci di ferro che si vedono in giro. Non è un libroperfetto, questo qui, non ha tutte le paroline giuste al posto giusto e qualche volta sembra quasi incepparsi, girare a vuoto. Ci sono un paio di refusi sfuggiti forse al correttore di bozze***, ma sono casomai cazzatine da correggere in seconda edizione. Di cosa parla?, si chiederanno a questo punto i miei giovani lettori, e subito dopo: perché dovrei sganciare la plata****?
C’è una giornalista italiana inviata a Mitrovica, Kosovo, a documentare ad uso e consumo dei lettori l’ennesimo conflitto tra serbi ed albanesi. Quello del ’99, del 2004, del 2008... non cambia poi molto. Il conflitto sta per finire e lasciare il posto ad un’altra pace instabile e temporanea, gli albanesi hanno vinto di nuovo e stanno per arrivare a prendere possesso della città, i serbi superstiti raccolgono tutto quello che si possono portar dietro e fuggono, sotto l’ipocrita supervisione di umanitari e forze internazionali. La giornalista straniera sceglie di rimanere, assieme ad altre tre donne che non possono o vogliono andarsene, e scrive di quegli ultimi giorni e di come ci si è arrivati, scrive della Storia e delle storie umane, di pogrom antiserbi e di Srebrenica, dello scrivere, della verità e del dubbio, di Amleto e delle guerre che ciascuno sceglie di chiamare proprie o di ignorare. Scrive e non spedisce niente, perché le parole si rivelano inutili.
E’ un libro in cui fact e fiction convivono ma non sempre si conciliano bene, a volte si strattonano a vicenda e di solito la fiction ha la peggio. Gli attori smettono di guardarsi in faccia, si rivolgono direttamente al pubblico rompendo il patto narrativo e la scenografia pare barcollare, tutti i personaggi diventano una maschera sola, i dialoghi rimbalzano in monologhi schizofrenici, lo spettatore tossicchia a disagio con le spalle al muro. Il fact che emerge prepotente non è una di quelle storielle precotte sul cui sfondo ricamare qualche avventuretta, ma un singolo atto di una guerra che rispecchia tutti gli atti che l’hanno preceduto e che lo seguiranno, un punto di vista inedito per il pubblico teleinformato su un conflitto che i media hanno finora evitato accuratamente di raccontarci o hanno deformato e piegato ciascuno secondo il proprio interesse. Un libro politicamente importante, come altri hanno sottolineato, che vale la pena conoscere se non ci si vuole arrendere ai libri di storia stampati e che senz’altro valeva la pena raccontare. Non è un libroperfetto, questo, e chissenefrega, è avaro di ironia ed estremamente amaro e non è neanche un pregio in sé il fatto che ti faccia star male, che ci siano brani in cui senti in bocca il gusto del sangue, senti il cemento freddo sotto i piedi, senti il tanfo del piscio ed hai paura. Ce ne sono altri, di libri che ti stupiscono e ti colpiscono e "coinvolgente" è un aggettivo riduttivo, per quanto la prima notte io mi sia sognato a Mitrovica e questo credo vada abbastanza oltre il coinvolgente. E’ un libro però scritto bene, e di questi non se ne trovano poi tanti, ed è un libro che racconta cose che dovevano essere raccontate, ed è un libro che rinuncia al giudizio e non offre risposte ma pone domande, soprattutto ti spinge a porti domande, su quello che è successo e che succede nei balcani, sulle molte facce della realtà e sulle storie che ci raccontano e che ci raccontiamo, sul rischio di finire con il crederci troppo, di creare equazioni pericolose, persino di sostituire un pregiudizio con un altro nell’impossibile tentativo di riportare in equilibrio la bilancia della Storia, pur sapendo che la Storia potrebbe essere solo una sequenza di dettagli scattati in macro. E’ un libro molto degno di nota, ancora una volta per quello che dice e per come lo dice, che merita di essere letto con occhio attento e mente lucida, che a tratti stride ma spesso è bellissimo, che dà molto al lettore anche se poco di consolazione ed ancora meno di speranza nelle umane sorti. Troppo, troppo breve. A me, e alla fine tutto banalmente si riduce a questo, è piaciuto ed ha dato da pensare assai, per cui mentre termino questo commento imperfetto al libro mi riprometto di tornare in futuro su alcuni degli argomenti trattati nel libro, che meritano tempo, spazio e ponderazione. E’ un libro che vale, e che lascia il segno.


(Dato che sono un recensore tradizionalista e conservatore, evito di parlare del booktrailer e del sito. Mica posso fare tutto io.)


* Ma siamo poi sicuri, che non c’entri?
** Ché non siamo al discount, compri mille e paghi dieci, né è prevista la lapidazione per chi non fa cieche professioni di fede.
*** Per esempio uno a pag. 82: o la matematica mi inganna, il che non mi stupirebbe, o gli albanesi hanno mezzo milione di proiettili in più, che già ne avevano assai.
**** O anche sfilarlo alla libreria, per quello che ne viene in tasca a me.



P.S.: Nel mentre che scrivevo questo commento, pubblicato con il solito ritardo tecnico, ho letto che Babsi Jones ha deciso di terminare il proprio weblog. La Rete italiana perde uno dei suoi scrittori migliori, i cialtroni segnano un altro punto, l’entropia avanza.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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