15/4
2008

Il ritorno del cavaliere nero

Ingredienti per 60.000.000 di persone
120 milioni di foglie di cavolo acido
30.000 tonnellate di macinato di montone o, in mancanza, di maiale
30 milioni di cipolle
300 tonnellate di peperoncino piccante
3 milioni di litri di olio extravergine di oliva
15 milioni di uova
150.000 ettolitri di salsa di pomodoro
60.000.000 di cucchiai di prezzemolo
60.000.000 di spicchi d’aglio
brodo in quantità

Pulite e sbollentate per pochi minuti le foglie di cavolo. Stendetele su un canovaccio pulito e lasciatele raffreddare.
Impastate in una grande terrina la carne, le uova, gli spicchi d’aglio, il prezzemolo ed il peperoncino e aggiustate di sale e pepe. Dividete l’impasto in sessanta milioni di parti e avvolgete abbastanza stretta ogni polpetta con una foglia di cavolo. Alcune fighette chiudono l’involtino con uno stuzzicadente, fate voi.
Tagliate le cipolle finemente e fatele appassire nell’olio che avete riscaldato in una teglia piuttosto grande. Disponete gli involtini sul fondo della teglia e coprite con il brodo e la salsa di pomodoro. Regolate di sale e aggiungete un cucchiaino di peperoncino al liquido di cottura.
Fate sobbollire dolcemente per almeno un’ora, girando gli involtini di tanto in tanto. se ci avete messo lo stuzzicadente, a questo punto sono fatti vostri.
State all’occhio con il sale, se me avete messo troppo aggiungete acqua al brodo. Alla fine il sugo dovrebbe risultare abbastanza liquido.
Ponete il tutto in una zuppiera e servite caldo.


Dato che da oggi di cavoli acidi ne avremo in abbondanza, meglio imparare a farne buon uso.

Stanotte ho dormito male. Non solo perché (preferendo conservare il cavolo acido per i giorni a venire) ho mangiato due piatti di pasta e ceci alle undici di sera mentre ascoltavo i risultati delle elezioni, con tutte le conseguenze gastriche del caso, ma anche perché riflettevo sulla meravigliosa lezione che la vita ci ha voluto insegnare in questa occasione: un giorno puoi essere presidente della Camera, incontrare il Dalai Lama, e il giorno dopo ti ritrovi ad essere un qualsiasi militante della sinistra extraparlamentare. Ho scritto "meravigliose"? Intendevo "merdose".

Per la prima volta nella storia della repubblica italiana, non ci sarà nessun rappresentante della sinistra in parlamento. Nessuno. Forse perché non esiste più nel paese una sinistra da rappresentare, anche se mi permetto ancora di dubitarne. Ad ogni modo, se fare opposizione dentro la maggioranza era complesso e vagamente schizofrenico, farla addirittura da fuori il parlamento sarà facilissimo, e sotto il 4% si ha addirittura diritto alla tutela del wwf. Nel frattempo, prendiamo atto della sconfitta culturale, sociale e politica. Berlusconi e i suoi oggi rappresentano il 46,8% degli italiani. Non uno di più, non uno di meno: ricordiamocelo, perché ci sarà un giorno in cui tutti affermeranno di averli votati, e ce ne sarà un altro in cui tutti negheranno di averlo fatto. Un italiano su due, tra quelli che incroceremo per strada oggi, ha votato per Berlusconi o per uno dei suoi scherani. Come siamo messi, quanto c’è da fare, e questo inverno sembra non finire mai. Meglio fare scorta di montoni.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




14/4
2008

I grandi concerti di KarmaChimico: Manu Katché

Quando si dice "Manu Katché", è inutile negarlo, la maggior parte della gente non pensa a un cazzo. Gli estimatori di musica invece pensano, "sticazzi, il genio delle percussioni, il maestro del jazz, colui che ha suonato con tutti i grandi della terra: Peter Gabriel, Sting, il Dalai Lama, Garbarek, Alessandro Magno". E suonando Manu Katché nel Tristo Borgo, ed essendo io tuttologo di riferimento del Tristo Borgo, potevo forse mancare al concerto di Manu Katché?
Forse, ma non. E pur avendo l’orecchio musicale di un secretaire Luigi XVI* posso dire che è stata un’esperienza sensazionale, una sarabanda di suoni travolgente, ipnotica. Gigantesco lui e bravissimi i suoi compagni sul palco, compreso quel pianista-ragno che mi son sognato tutta la notte.

E finito il concerto, ho raggiunto il Nello tornato in patria per qualche giorno e da lì in poi sono state solo tenebre e slijvovica.


Ieri, poi.
Dopo aver visto Veltroni e George Clooney bere aperitivi e scambiarsi pippe sottobanco e pacche sulle spalle, pensavo sarebbe stata un’impresa impossibile, e invece. E’ bastato consegnare la tessera elettorale, prendere le schede, entrare in cabina, spiegare le schede, guardare i simboli, ripiegare le schede, uscire dalla cabina, tornare dentro, riaprirle, pensare a chi era il più onesto, richiuderle, riaprirle, pensare a chi potrebbe essere meno disgustoso, richiuderle, uscire, tornare dentro, riaprirle, fare dieci minuti di chi kung, visualizzare il mio animale guida, pensare a chi vorrei presidente del consiglio, richiudere le schede, trattenere il respiro, chiudere gli occhi, stare in equilibrio su una gamba sola per dieci secondi, riaprire le schede, deglutire, canticchiare una canzone dei clash, pensare al voto utile, il voto utile, il voto utile, la repubblica di Weimar, il voto utile, i barbari che avanzano, il voto utile, mandarli a fare in culo, scegliere il voto dilettevole, tracciare due croci, ripiegare le schede, uscire dalla cabina ed infilare le schede negli appositi contenitori.
Così, come se niente fosse.

Ed oggi scopriremo quanto male siamo messi. Sono disponibili le opzioni: tragedia, catastrofe biblica e Daniela Santanché**.




* paragone un po’ ardito, lo ammetto, e completamente basato sul pregiudizio che i mobili non abbiano orecchio musicale.

** Circolano un paio di curiosi miti attorno a Daniela Santanché. Il primo è che sia un puttanone, fatto non dimostrabile e retaggio evidente di una cultura maschilista trasversale, il secondo che sia una gnocca, cosa palesemente falsa, a meno che non abbiate un debole per le vecchiette con la mandibola da orango. Smettiamola quindi di dare adito a queste menzogne ed attendendo con premura che ritorni nell’anonimato da cui proviene qualifichiamo la Santanché per le sue reali qualità: la stronzaggine, la fascistaggine e gli scoiattoli nel cervello.




9/4
2008

Silver is the new gold

Già lo so, c’è Bossi che dà di matto, sta per prendere i fucili, fare la rivoluzione ed io non dico niente. Eppoi c’è quell’altro, Dell’Utri, che vorrebbe riscrivere i libri di storia ed io mi sto zitto. Ed anche coso, lì, Berluscono, ne spara una al giorno, vaneggia e ritratta e delira e non si ricorda così come si addice ai signori della sua età, ed io invece di approfittarne faccio dinta di niente. E mi sto lasciando scappar via Sinistra Critica e i socialisti, che chissà se mai li rivedremo. Mi è persino arrivato a casa un cartoncino con su scritto che Veltroni e Prodi (Prodi? Prodi chi?) vogliono legalizzare l’eutanasia, il matrimonio gay, l’adozione di bambini da parte di coppie gay e l’adozione di bambini gay da parte di coppie in rianimazione, e che un bravo cristiano dovrebbe quindi votare per il Po-popopopo-pòlo delle libertà, ma ho glissato. Non trovo neanche più il cartoncino, sennò ve lo farei vedere. Per dire il disinteresse.

Ma non è solo che queste elezioni, come sempre le ultime prima di una catastrofe*, sono di una noia mortale. E’ che sono tempi bui, tempi in cui uno per vivere deve fare anche cose moralmente discutibili, come per esempio lavorare. O peggio, allenarsi duramente per una gara di tai-c, disputarla e tornarsene a casa con una luccicante medaglia d’argento. Poco importa che ci fossero così tante specialità e categorie da rendere pressoché impossibile tornarsene a casa senza almeno una tondino di latta, sta di fatto che in una particolare forma (la più semplice), tra i "principianti-maschi-over 18-con gli occhiali-stempiati-molto simpatici" non c’è nessuno che mi batta. A parte quello che è arrivato primo. O quello che è arrivato secondo a pari merito. Ad ogni modo, ho fatto caroselli tutta la notte attorno al mio ego ipertrofico.




* Dove la catastrofe, probabilmente, si concretizzerà nella vittoria di uno dei principali contendenti. Uno qualsiasi.




1/4
2008

Felicità è un panino col kajmak

La periferia di Belgrado arriva fino a Mestre. Tutt’intorno, l’odiosa stazione con il suo MacDonald’s e gli onnipresenti schermi piatti che proiettano ovunque inutile pubblicità. Al nono binario, il treno diretto ad est. Scordatevi l’Orient Express, i Casanova e gli altri giocattoli platinati, questa è una carovana sgangherata con il nome della destinazione dipinto a grandi lettere sulla fiancata di ogni vagone, ciascuno più vecchio e malandato del precedente: Budapest, Bucuresti ed, in coda, Beograd. La Serbia comincia non appena si mette piede sul predellino e scopri che tutto lì dentro è serbo, dai cartelli al controllore, dal kit di viaggio che le ferrovie serbe mettono gentilmente e a disposizione del viaggiatore (ciabatte, asciugamano, sapone, salviettina umidificata) ai pochi passeggeri. Persino il divieto di fumare è scritto in serbo, e viene ignorato alla serba, e senz’altro è serbo il panino con prosciutto, formaggio e burro che ci viene servito a colazione. Sono necessarie altre quattordici ore di viaggio per allineare la Serbia interiore con quella esteriore.

Belgrado è bella come sempre, povera come sempre, orgogliosa come sempre. Sulle facciate dei palazzi del centro che lentamente continuano a crollare su se stessi qualcuno scrive coraggiosamente il proprio no all’unione europea, no grazie ci avete appena bombardato, no grazie ci volete fregare, no grazie siamo già abbastanza europa da poter fare a meno del vostro prezioso bollino blu. Chissà poi come andrà a finire, anche lì. Le mie proposte di far uscire l’italia dall’unione europea e creare una nuova spettacolare federazione balcanico-mediterraneo sono finora cadute nel vuoto, in attesa di essere rivalutate dai posteri. Il traffico di Belgrado continua ad essere il solito incubo, quel genere di incubo in cui in ogni momento si sente che la fine è vicina, che quell’autobus non potrà proprio frenare in tempo, che quel pedone non potrà schivare il taxi, ed invece si arriva sempre a destinazione incolumi senza aver capito bene come sia stato possibile. Il cavallo di Piazza della Repubblica è sempre al suo posto, San Sava è sempre quasi completata e neanche il Royal Hotel si è mosso, per quanto non sia riuscito ad ottenere informazioni sulle blatte che ne decoravano la doccia tempo fa.

Questa volta la nostra base operativa era quasi in campagna, e dalla finestra guardavamo i vecchi contadini arrivare al mattino ed esporre sul bordo della strada o davanti al trattore due cassette di biete, ciuffi di porri, secchi colmi di uova fresche, gli zingari andare e venire sul loro carrettino, i tossici e gli ubriaconi lasciar passare la giornata con una bottiglia di birra in mano. Poi, qualche passo a piedi, qualche fermata in autobus ed eravamo seduti in riva al danubio a mangiare ćorba e pesce al forno, involtini di cavolo o gulash, o a vagare per viali e viuzze, senza preoccupazioni turistiche. L’amica Z., principale meta del nostro viaggio, conosce ogni angolo della città e ci sa sempre indicare quali tombini si potrebbero spalancare sotto i nostri piedi, ci guida tra i banchetti di alimentari e ci accudisce. I filtri e le maschere a Belgrado sembranon non servire, tutto è talmente straniero e così familiare da stordire, da costringermi a guardarmi attorno cercando di cogliere ogni dettaglio, ogni suono, di capire cosa c’è di tanto affascinante nelle macchine esauste, nella gente che mangia tranquillamente per strada, nelle vie affollate di pedoni, nell’atteggiamento di frenetica calma e serena improvvisazione che sembrano pervadere le strade, a parte l’essere antitesi della vicentinità. Siamo in Europa? No, grazie. E allora dove? Oppure ci siamo, in un angolo polveroso di quell’Europa da rivista patinata che ci propinano ogni giorno, a dibattersi tra disoccupazione, prezzo della farina e programmi tv on demand?

Ancora una volta, torno carico di bagagli sporchi e domande senza risposte. Mi sono fermato troppo poco, ho mangiato e bevuto e respirato Belgrado troppo poco, appena il tempo di rendere doloroso il ritorno a casa, di starsene rannicchiati su una cuccetta a contare malinconicamente gli spiccioli di dinaro con la sensazione di non stare andando da nessuna parte. Eppure, direbbe Galilei, ci muoviamo.




27/3
2008

Più mucche

Tanto per cominciare, stamattina sulla strada per venire al bunker ho visto i primi manifesti elettorali del Partito (o Popolo che dir si voglia) della Libertà. Non è che finora si siano molto sprecati, qui nel Tristo Borgo, ma neanche i loro competitor, a dire il vero. Il poster recitava semplicemente: "Meno tasse". E basta. Senza neanche quel famoso e sbeffeggiato "per tutti", e infatti non si capisce meno tasse per chi, come, quando, che tasse. Non si capisce niente, "meno tasse" non vuol dire niente, serve solo a far bagnare il prepuzio ai piccoli imprenditori ed ai professionisti dell’evasione. Alle prossime elezioni, immagino, metteranno direttamente un paio di tette.

Tornano di moda, intanto, i giochini prelettorali che rendono così piacevole perdere tempo su internette. A me è uscito questo:
mucche

Poi, nella mia ignoranza continuo a non capire se PornoRambo sia in Colombia o in Venefuela. Mi manda e-mail (d’amore) dicendo di essere a Caracas, però mi aveva detto che sarebbe partito per la Colombia e non ha mai smentito. ’nsomma, dove sarà finito? Avrà sbagliato aereo o non sa come si chiami la città dove si trova o aveva sbagliato la prima volta che mi ha detto la destinazione? Potrei persino sospettare che le e-mail non me le mandi lui, che sia un impostore, se non mi avesse scritto "know out" al posto di "know-how" (parlando di gay garage ed altre vecchie storie sulle quali non occorre soffermarsi ora).

Infine io stasera parto per Beo, treni e bagagli e passaporti permettendo. Auguratemi buon viaggio, tanto lo so che mi penserete.




26/3
2008

L’emisfero sinistro è ancora in letargo

Il fatto che io abbia trascorso il fine settimana prevalentemente a tentare di configurare una rete wifi per il mio iPot rende l’idea di quanto lontani alle mie spalle siano i tempi dei folli bagordi alcolici. Certo, anche il fatto che PornoRambo sia in Colombia ha aiutato. Il fatto che io ci sia infine riuscito rende l’idea di quanto mantenga l’usuale predisposizione per le imprese tanto epiche quanto sostanzialmente inutili. Non che manchino cose più interessanti da fare.
Lunedì, per esempio, sono tornato sulle piste da sci a rischiare la vita mia e di altri ignoti ostacoli a due zampe. Ho ancora alcune difficoltà con la svolta a sinistra e, uhm, la frenata, in particolare mentre sto andando in discesa (la qual cosa sciando capita piuttosto spesso) e l’emisfero destro del mio cervello è troppo impegnato a calcolare la velocità d’impatto per trasmettere stupidi messaggi ai muscoli delle gambe e mantenere il controllo della situazione come sarebbe suo preciso compito. Stupido emisfero destro. E’ pur vero che sto lentamente migliorando, ora prima di cadere riesco ad includere tra le variabili anche la forza di coriolis e l’elasticità dei tronchi d’albero (sempre sfortunatamente uguale a zero). Poi, quando mi rialzo, mi sento pure dire: "Bravo! Sei coraggioso a scendere così veloce!"
Certo. Coraggioso. E quella striscia marrone che mi sono lasciato alle spalle cos’è, neve carbonizzata?
Si sono verificati, nel complesso, un paio di episodi imbarazzanti da cui intendo dissociarmi pur essendone l’unico protagonista. Il fatto che anche stavolta ne sia uscito vivo mi conferma che a. dio è morto (probabilmente imparando a sciare) oppure b. dio era troppo impegnato a giocare con la playstation per approfittare dell’occasione propizia. Probabilmente stava sfidando gli altri dei ad un gioco di sci, il suo personaggio ero io, Budda l’ha stracciato ancora ed è per questo che in tibet stanno avendo tutti quei problemi.

(Vedete? Hanno ragione i cattolici: la religione offre una risposta a tutto, anche lì dove non c’è nessuna domanda.)




20/3
2008

’a sinistra l’arcobaleno, a destra la pioggia

C’è chi si chiede, e brillantemente si risponde, se abbia ancora senso dirsi di destra o di sinistra. Non posso che condividere le sue riflessioni e concordare: rossi e neri non sono tutti uguali, e neanche post/rossi e post/neri o neorossi e neoneri e tutto il codazzo di pararossi e paraneri e... uhmpf, avete capito. Se anche la distinzione ultimamente vale poco per i principali partiti, che tendono a venire risucchiati nella cloaca del centro, rimane valida per le persone, per quello in cui le persone credono ed a cui danno valore, e per i comportamenti che più o meno coerentemente derivano da queste convinzioni. Certo, la società ribolle di cambiamenti, le relazioni forti si fanno lasche, nuovi problemi vengono fatti rotolare in agenda e compaiono nuove forme di aggregazione, nuovi modelli di consumo, nuovi stili di vita, nuove figure sociali e tutto il blablabla di repetorio sociologico. Come sempre, e sempre più freneticamente. Magari non saranno più i jeans o la cravatta a tracciare la distinzione tra una persona di destra o di sinistra e certi argomenti di discrimine si saranno fatti più sfocati, certi scenari più confusi. Ma non poi così tanto confusi, in fondo. "Destra" e "sinistra" saranno anche etichette fuori moda, ma insomma, se sei stronzo, di lavoro fai il figlio di imprenditore, hai il SUV, ti dichiari liberista quando si tratta di fregare la gente e protezionsta per salvare le tue speculazioni finanziarie, se sei un baciapile, razzista, maschilista, testa di cazzo, arrogante e servile, se sei convinto della meritocrazia del tuo conto in banca di merda, sei bigotto e puttaniere, forcaiolo ma convinto che in fondo in fondo chi ruba fa bene, come ti dovrei chiamare? Silvio? Per me va bene, ma potrebbero esserci problemi di copyright.



Nel frattempo, continua l’ondata di emigrazione dal Triste Borgo Natio. Non è una novità che PierBulus sia ormai stabilmente a Venezia e Julio Maria Ratòn de la Suerte si faccia mantenere in quel di Madrid, mentre Nello è disperso in Bosnia da tipo un milione di anni e nun se pò vedè né sentì. A noi poveri immobilisti non resta che accontentarci di qualche giorno di vacanza, per cui PornoRambo se ne andrà in Colombia a sgominare il narcotraffico a nasate,
mentre io ed Amormio ci ritiriamo per il prossimo uikend a Belgrado*. Restano in città, che io sappia, solo il Conte di Cavour e StefaniaRambo, che il suo partner non vuole chiaramente avere tra i piedi mentre seduce le staffette delle Farc**.

* "A Belgrado! A Belgrado!" disse lui, salterellando di gioia per la stanza.
** E’ bello seminare zizzania senza motivo. :-)




17/3
2008

Mitrovica non è in tibet

Dicono che una cinquantina di nazionalisti serbi abbiano occupato il tribunale della Nato a Kosovska Mitrovica, nel nord del kosovo, e che mentre i militari dell’Alleanza cercavano di sgomberarli siano stati esplosi colpi di armi automatiche contro di loro.
Poveri, poveri militari NATO, soli e indifesi contro i serbi cattivi.
Non dicono che i cinquanta(tre) "nazionalisti" erano impiegati del tribunale, estromessi nel ’99 dopo la guerra purificatrice promossa dagli U.S.A. e dai separatisti albanesi, che da una ventina di giorni protestavano senza successo per poter riavere il proprio lavoro e che da venerdì avevano occupato pacificamente l’edificio in segno di protesta. Non dicono che quando alle 5.30 del mattino diverse centinaia di soldati dell’UNMIK, su ordine dello pseudo presidente Thaci, hanno circondato l’edificio questi "nazionalisti" si sono lasciati arrestare senza oppore resistenza, che ne è seguita una protesta popolare per cercare di liberare gli arrestati e che questa protesta è poi degenerata in tumulto popolare. Non dicono che ci sono feriti sia tra i soldati internazionali che tra i manifestanti, cosa abbastanza naturale visto che si stanno sparando addosso ed i conti li faranno a fine giornata. Non dicono che forse la minoranza serba del Kosovo non sta coltivando il sogno della Grande Serbia, ma sta soffrendo nove anni di discriminazioni intervallati da qualche pogrom e teme, a torto o ragione, di cadere vittima della prossima pulizia etnica.
Alcune cose si dicono, altre è più opportuno tacerle, in perfetta coerenza con la sintetica teoria del giornalismo occidentale secondo cui anche la più legittima richiesta da parte serba rappresenta una minaccia, ogni rivendicazione diventa un’aggressione, e non basta che la serbia si sia lasciata scippare di una parte importante del suo territorio, deve esserne anche contenta, deve anche stare zitta, deve dire grazie. Una teoria così rassicurante che sembra uscita dalla penna dei fratelli Grimm.




17/3
2008

Il Tibet non è un embrione

Nota personale di papa Benedetto DCLXVI al Dalai Lama:

"Carissimo,

Medita su questo, pelatonesono profondamente rattristato per i recenti avvenimenti che stanno rendendo così aspra la vita del popolo tibetano e dei tuoi fedeli. Certo, non ho ancora avuto modo di esprimere pubblicamente il Mio rammarico, ma tu sei uomo di mondo e certamente non stenterai a capire le profonde ed umanissime ragioni che Mi spingono a tanta riservatezza. Inutile farsi perseguitare in due, no? Ti assicuro comunque la Mia sottintesa ma costante vicinanza spirituale in questo greve momento.
Tuttavia, non posso evitare una certa amara considerazione sulla vostra conduttura morale. Stando a quanto ricordo dei Miei studi teologici - e, per inciso, non posso dire di ricordarne poco - Mi sembrava che il fine ultimo del buddismo fosse il superamento del desiderio, in quanto causa di ogni sofferenza esistenziale. Dubito tu te ne sia dimenticato. E allora perché vi ostinate a desiderare tanto una maggiore autonomia dalla Repubblica Popolare Cinese? Mi risulta che alcuni dei tuoi addirittura desiderino l’indipendenza del Tibet, e quasi tutti quei cari buddisti che vedo in televisione desiderano che i cinesi la smettano di sparare loro addosso. Lo vedi quanti futili desideri? Saranno senz’altro quelli a causare la vostra attuale sofferenza, non ne convieni?
Tsk. Tsk. Tsk. Un po’ di coerenza, ci vuole.
Se non vi piace, alla prossima reincarnazione sceglietevi una religione più semplice. ;-)

Ecumenicamente tuo,

Benny."




12/3
2008

Touch me baby

Sfogli il Mucchio, prendi nota sull’ipod delle canzoni o dei dischi che ti sembrano interessanti, ti colleghi ad Internet, scarichi i dischi che ti sei appuntato, li sincronizzi sull’ipod, li ascolti. In pratica stai dando da mangiare all’ipod. Sei l’interfaccia tramite cui l’ipod si alimenta di canzoni e, occasionalmente, di energia elettrica. Tecnicamente parlando, sei dunque una periferica di alimentazione.
Volendo, col wifi si può realizzare il tutto con l’ipod stesso, senza muoversi dal divano e senza spostare dati dal computer al lettore. Fa tutto lui. L’unico aspetto di tutta l’operazione che richiede ancora un intervento della coscienza umana è la scelta delle canzoni da scaricare ed un paio di clic per autorizzare il pagamento teoricamente dovuto.
Tra qualche anno, anche questo ostacolo sarà superato: il nuovo ipod dotato di iCoscience sceglierà autonomamente le canzoni che vorrà ascoltare, magari sfogliando la versione elettronica di una rivista, se le scaricherà e se le ascolterà per i fatti suoi. Non avrà neppure un’interfaccia, tanto non gli interesserà comunicare con te. Tu non dovrai fare altro che pagare ed ignorarlo, passandogli una iPaghetta mensile. Proprio come a un figlio.
Poi un giorno sbirci di nascosto il suo disco fisso e scopri che è pieno di progetti per ucciderti.




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