6/4
2007

Affinità e divergenze tra la compagna Budapest e noi [4]

4. I prezzi
La seconda domanda che tutti pongono al viaggiatore appena tornato da Budapest è:
Come sono i prezzi?

La risposta a questa domanda è: non bassi quanto vi aspettereste. Dimenticatevi quel vostro sogno colonialista in cui la birra costa dieci centesimi al barile e le donnine ungheresi si gettano ai vostri piedi in cambio di una confezione di calze di nylon. Dimenticatevi quel film con Ezio Greggio e Jeyy Calà, anzi, dimenticateli tutti; tenete pur presente che Budapest è una grossa città, ed i prezzi sono forse più alti che nel resto del paese. Ad ogni modo, sono poche le cose che paghereste meno che in Italia: le terme sono un po’ meno care, la benzina è un po’ meno cara, ma niente di spettacolare.
Si può risparmiare un po’ nel bere e nel mangiare, ma solo evitando accuratamente i posti turistici e scegliendo invece di avventurarsi in quelle gradevoli bettole che ancora si trovano in qualche angolo della capitale, i sörözo nascosti tra un fast food cinese ed una pizzeria italiana. Lì può ancora capitarvi di respirare un po’ di quell’atmosfera esotica che caratterizzava,a detta di precedenti viaggiatori, la vecchia Budapest, e può ancora capitarvi di pagare una buona birra sessanta centesimi.

Nel Triste Borgo Natio, ovviamente, posti dove si paga la birra sessanta centesimi non ce ne sono più, ma almeno i prezzi sono esposti in euro così come è nella natura delle cose e non in stupidi fiorini. Inoltre, nel Triste Borgo Natio ci sono molte meno pizzerie e ristoranti italiani che a Budapest, e più o meno lo stesso numero di ristoranti ungheresi.


5. Il comunismo
A quanto pare, fino a pochi anni in Ungheria c’era il comunismo. Ora si sono lanciati tutti verso la globalizzazione capitalistica, le strade sono piene di vetrine Benetton e bandiere di Unicredit, le cabine telefoniche sono T-Mobile, ad ogni angolo c’è un Mc Donald o un Burger King o un KFC. Sono membri dell’Unione Europea, tra pochi anni avranno l’euro e tutte le statue dell’era sovietica sono state relegate in un parco a tema in periferia, visitabile a pagamento.

Secondo me stavano meglio prima, ma vaglielo a spiegare.



P.S.: La prima domanda che tutti pongono al viaggiatore appena tornato da Budapest è, naturalmente:
Ma è vero che gli ungheresi sono tutti GROSSI?

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




5/4
2007

Affinità e divergenze tra la compagna Budapest e noi [3]

3. Il traffico
Tra Zagabria ed il confine ungherese si stende una steppa desolante, attraversata da un’autostrada a tre corsie in perfetto stato di efficienza, come in Italia se ne trovano poche. Ogni quarto d’ora io ed AmorMio superavamo o venivamo superati da un’auto, un camion, una cornacchia, e ci chiedevamo perché mai qualcuno abbia pensato di costruire un’autostrada proprio lì, in mezzo al nulla. Anche l’Ungheria, un pezzetto alla volta, si sta ricoprendo di una fitta rete autostradale, ma noi abbiamo preferito rimanere sulla superstrada che costeggiando il Balaton arriva fino a Budapest, abbastanza scorrevole per i nostri gusti.

Il traffico ungherese è strano. Insieme alle auto più moderne circolano ancora un sacco di vecchie skoda, vecchie lada, persino qualche trabant; abbiamo incrociato persino un paio di carretti tirati da cavalli, per quanto possa essere difficile da credere (e per quanto ogni duecento metri ci fosse un cartello che proibiva il transito ai carretti tirati da cavalli). Per tradizione gli ungheresi tendono a rispettare i limiti di velocità anche quando questi appaiono ridicoli ai nostri scafati occhi occidentali, salvo poi lanciarsi azzardatamente a sorpassare file di camion in curva, uscire dagli incroci senza guardarsi attorno ed altre amenità del genere. Guidare sulle strade ungheresi, per quanto scarso sia il traffico, può mettere a duro rischio il vostro sistema nervoso; io che mi trovo in panico anche ad uscire dal vialetto di casa, non ho notato differenze significative.

Arrivare a Budapest in auto è abbastanza semplice: la lungimirante efficienza asburgica ha infatti posto la capitale al centro del paese, e qualsiasi strada prendiate, in qualsiasi punto la prendiate ed in qualunque senso di marcia, vi porterà comunque a Budapest. La lungimirante efficienza asburgica si ferma qui: una volta arrivati a Budapest, vi troverete incuneati in una lentissima coda di automobili che dalla periferia più remota di Buda Sud lotta per l’ingresso in città, avanzando a passo d’uomo in un tipico ingorgo metropolitano permanente.
A parte questo piccolo ostacolo, comunque, il traffico di Budapest è relativamente ragionevole: ci sono un sacco di mezzi pubblici, la metropolitana più anziana del continente, una fitta rete di sensi unici, la gente guida automobili e non carretti trainati da cavalli, ecc. Tuttavia, sono presenti un paio di minacce che vanno sottolineate. In primo luogo, ogni strada di Budapest è incrociata da diverse linee di binari del tram; generalmente non c’è niente che delimiti lo spazio della carreggiata riservata a questi gloriosi mezzi di trasporto, è piuttosto normale vederseli traballare a mezzo metro dalla fiancata e può persino capitare che qualcuno guidando spensieratamente si ritrovi a correre sulle rotaie. Il secondo pericolo insidiosamente nascosto nel traffico di Budapest è lo stile di guida AmorMio, che riesce a districarsi perfettamente nel traffico della metropoli ma solo a costo di innumerevoli violazione del codice della strada.
Il terzo pericolo è quando il primo ed il secondo pericolo si incrociano nottetempo, inspiegabilmente contromano, costringendoci ad una frettolosa retromarcia mentre il tram giallo avanza verso di noi imperioso ed inarrestabile, orgoglioso del proprio fascino sovietico.

Nel Triste Borgo Natio, naturalmente, non ci sono i tram gialli. Esiste un unico ingorgo permanente che va da casa mia alla zona industriale, e di certo nessuno lotta per entrare in città, se proprio non c’è costretto.




3/4
2007

Affinità e divergenze tra la compagna Budapest e noi [2]

2. Gli indigeni
Contrariamente alla tradizione popolare tramandataci da precedenti viaggiatori, bisogna innanzi tutto sottolineare come gli ungheresi non siano affatto [voce cavernosa ON] GROSSI [voce cavernosa OFF]. Mi spiego: ci sono ungheresi sovrappeso, ungheresi grassi, ungheresi di corporatura considerevole ed ungheresi enormi, ma dopo una superficiale visita della capitale non mi sento assolutamente di poter affermare che gli ungheresi, intesi come popolazione di sesso maschile dell’Ungheria, siano in generale [voce cavernosa ON] GROSSI [voce cavernosa OFF]. Alcuni ungheresi erano persino magrolini, fate voi. Si potrebbe trarre da questa scopertala morale che la [voce cavernosa ON] GROSSEZZA [voce cavernosa OFF] sta negli occhi di chi guarda, ma una simile considerazione potrebbe facilmente costarmi la vita quindi specifico subito che non la condivido*.
Delle donne ungheresi non chiedetemi neppure, questa degrossificazione del maschio ungherese mi ha talmente sconvolto che non manco le ho guardate. Scherzi a parte, non ci sono donne in Ungheria, o almeno io non ricordo di averle viste. L’Ungheria è un paese per soli uomini. O per sole donne, a seconda dei punti di vista.
E questo, c’è da dire, è un punto a vantaggio del Triste Borgo Natio.

Si dice che gli ungheresi non siano un popolo molto cortese. E’ per questo che consigliano di arrivare in Ungheria passando per la Croazia: così uno è preparato al peggio. In realtà, gli ungheresi sono molto gentili e ben disposti nei confronti degli sconosciuti, purché questi non scassino la minchia per più di 30 secondi. Generalmente viene concessa allo straniero una domanda, alla quale verrà risposto con sorridente cortesia e disponibilità; una volta ricevuta la risposta, lo straniero farebbe bene a ringraziare e andarsene senza mai voltare le spalle, perché qualsiasi altra cosa chieda, qualsiasi commento o affermazione aggiunga verrà interpretata come un insulto e produrrà come unico risultato l’ostilità dell’interlocutore.
Un esempio a caso tra i mille che potrei fare. Io et AmorMio entriamo nell’Ufficio Informazioni ben nascosto nei vicoli di Pest centro, e chiediamo una mappa cittadina. Una signorina sorridente ce la porge con gentilezza. Ci pensiamo un attimo, chiediamo anche informazioni specifiche sui giorni di apertura delle terme. Sbuffando, la signorina di poco prima fruga in un cassetto e ci porge sbrigativa una fotocopia con gli orari di apertura. Sbirciamo un secondo, chiediamo spiegazioni su un dettaglio che non ci tornava, la signorina sbuffa così forte che voliamo fuori dalla porta. Una sola domanda consentita, questa è la regola in Ungheria. Dalla seconda in poi, vi daranno la risposta che sembra il più rapido modo per liberarsi di voi.
E sbuffano un sacco.

Al contrario, gli abitanti del Triste Borgo Natio non risponderanno cortesemente neanche alla prima domanda, e il più delle volte non risponderanno proprio a meno che non sia evidente come il rispondervi sia l’unico modo per liberarsi di voi. E parleranno in dialetto, così da farvi capire quanto poco siate amati, qui, voi che venite da fuori. Dove per "fuori", si intende un raggio di cinque chilometri attorno al duomo; del resto, se non foste da fuori non avreste bisogno di chiedere informazioni, no? Ed in ogni caso, non ci sono turisti nel Triste Borgo Natio.
Tranne uno. Riporto di seguito a titolo di esempio una breve testimonianza lasciata da GMGaster, mio compatriota ora emigrato all’Est, tra i commenti al post precedente:

Una volta, scendendo dal treno che mi aveva riportato a casa da Venezia, incontrai una giapponesA piuttosto piacente ch emi chiedeva informazioni, piantina alla mano. Io, guardandola con fare piuttosto compassato, le ho detto, senza capire cosa mi chiedesse: "de ’à" indicando col naso.

E a lui piacciono le orientali, per questo ha risposto.
E’ per questo che consigliano di arrivare al Triste Borgo Natio passando per l’Ungheria.

* Per farvi capire il paragrafo che avete appena letto, dovrei spiegarvi così tante cose di una persona chiamata Vlad che, se anche ci riuscissi, questa persona verrebbe da me e pasteggerebbe con le mie interiora. Chiunque scriva qualcosa su di lui e sulla sua passione per gli ungheresi nei commenti, lo fa a proprio rischio e pericolo. E comunque non intendevo scrivere "passione".




29/3
2007

Affinità e divergenze tra la compagna Budapest e noi [1]

1. Il Danubio
Com’è ben noto, Budapest è nota anche come "la Perla del Danubio" o "la Regina del Danubio", per distinguerla da Parigi che è famosa come "la Stella della Senna"*. Il Tristo Borgo Natio, al contrario, è noto anche come "il Sasso Comune del Leogra" ma più spesso come "l’Orinal de Dio" a causa delle piogge frequenti.
Il Danubio è un fiume maestoso che tocca tutte le principali capitali dell’Europa centrale: Vienna, Bratislava, Budapest, Belgrado. Quando passa per una città povera, come Belgrado, è noto anche come Duna, mentre nelle città più ricche come Vienna lo chiamano Grande Punto; a Budapest fino a pochi anni fa lo chiamavano Trabant mentre adesso si sono adeguati all’usanza di Belgrado e lo chiamano Duna anche lì, però specificando "Gran Turismo". Il fiume attraversa con aria molto signorile la capitale ungherese, segnando il confine tra le città gemelle di Buda e Pest; Buda, adagiata sulla collina, e Pest, distesa sulla pianura, si specchiano sulle acque del Danubio come due vecchie carampane ancora piacenti, imbellettate e coperte di gioielli, unite da splendidi ponti che non a caso i bastardi nazisti, nemici di tutte le cose belle, avevano provveduto a distruggere durante la guerra. Su entrambe le sponde del Danubio la notte si può correre lungo strade panoramiche, ammirando la bellezza dei palazzi illuminati, sperando che la pula ungherese non ti sgami per eccesso di velocità.
Il Leogra, che nessuno si è mai curato di appurare dove nasca e dove sfoci, che io sappia attraversa solo il Tristo Borgo Natio e pure malvolentieri. Non è solcato da leziosi battelli e non è equipaggiato con ristoranti galleggianti, anche perché per la maggior parte dell’anno è completamente privo d’acqua ed il suo letto sassoso si potrebbe percorrere con la bmx. Il Leogra segna il confine tra le città gemelle di TristoBor e Gonatio, divisione che peraltro interessa solo a quelli di Gonatio e non viene generalmente riportata nelle guide turistiche, che non esistono. Tirando a indovinare, posso ipotizzare che il Leogra abbia permesso negli ultimi secoli il funzionamento di tutte quelle allegre fabbriche tessili che hanno contribuito a rendere il Borgo un posto così ameno, ma francamente a vederlo così povero e asciutto non me la sento di dargli la colpa. Lungo una delle sue sponde, per un duecento metri si può correre su una pista ciclabile, stando attenti alle cacche di cane.
Il Leogra da grande vorrebbe fare il Danubio.


* Peraltro Budapest è famosa anche come "la Parigi dell’Est", il che fa della capitale ungherese "la Stella della Senna dell’Est" e, per estensione, il Danubio diventa "la Senna dell’Est". Il Tulipano Nero viene dato per disperso dalle parti di Linz, alla spasmodica ricerca di un parcheggio.




20/3
2007

La cellula fondamentale

Sarà che la mia generazione è finalmente arrivata all’età riproduttiva, ma vedo dappertutto intorno a me gente intenzionata a sposarsi. Parenti, colleghi, persino quel vecchio anticlericale del mio amico ubriacone ha ceduto le armi e sta seguendo un ridicolo corso per fidanzati. Niente di male in tutto questo, rientra nell’ambito delle scelte personali. Ma allora perché questo accanimento di ecclesiastici e cattolici nell’affermare che la famiglia è in pericolo, la famiglia è minacciata, no dico no taliban?
Per i vescovi e gli altri agenti vaticani può anche essere (e senz’altro è) una questione di potere, di soldi, di presa sulla società: meno matrimoni, uguale meno possibilità per loro di mettere il naso in quello che succede entro le mura domestica, meno battesimi, meno giovani virgulti da educare secondo la loro dottrina, meno gente disposta a fare quello che loro chiedono, impongono, suggeriscono. Meno monetine nel cestino delle offerte. Meno anime in paradiso, per quelli in buona fede.
Ma tutti gli altri cattolici che s’ingrassano di dichiarazioni contro le coppie di fatto ed i matrimoni omosessuali, che cosa vogliono, che cosa temono? Di andare all’inferno se non si sono impegnati abbastanza? Che i loro figli diventino omosessuali per provare l’ebbrezza proibita di mettere su una coppia omosessuale?
Che la società si sfasci, dicono, perché la famiglia è "la cellula fondamentale della società". Opinabile, dipende dal livello di dettagli con cui scegliamo di guardare la società. Facciamo un passo indietro, e la cellula fondamentale della società diventa il paese, la città, la regione, la Nazione. Meglio fare un passo avanti, e la cellula fondamentale diventa l’individuo, con i suoi desideri e bisogni e aspirazioni e tutto quel genere di cose. Un altro passo avanti, e la cellula fondamentale della società diventa la cellula. Insomma, la scelta della cellula fondamentale della società è altamente discrezionale, anche perché la società non è un organismo*.
Cerchiamo di venirci incontro, dai. Io ammetto che la cellula fondamentale della società è la famiglia, non ci credo ma faccio finta, ed in cambio voi ammettete che affinché un organismo sopravviva è necessario che sia composto di cellule di tipo diverso, con funzioni diverse. Neanche questo vi va bene? Bene, passiamo al catastrofismo.
Io ammetto che la cellula fondamentale della società, così com’è attualmente, è la famiglia.
Voi ammettete che la società, così com’è attualmente, fa schifo.

Intanto, per il 12 Maggio è stato proclamato un "Family day", una manifestazione a Roma, ed io non ho mai visto una manifestazione in difesa di una cellula fondamentale, potrebbe essere interessante. Una manifestazione in difesa della più forte istituzione sociale esistente sul pianeta, che nel nostro Paese non è oggettivamente messa in pericolo da nessuno. E dopo? Propongo una grande manifestazione nazionale in difesa dei diritti del’uomo, inteso come maschio, in casa e sul posto di lavoro. Una manifestazione contro la discriminazione dei bianchi. Un’oceanica adunata in difesa degli italiani alti tra un metro e cinquantacinque ed un metro e novantacinque, costantemente minacciati da questo governo di comunisti che pensa solo ad elargire privilegi ai nani e ai giganti.
Che manifestino, è tutto di guadagnato: prendono aria, si schiariscono le idee, si ossigenano un po’ le cellule.



* Ci avevate mai fatto caso, eh? Eppure. C’è anche chi sostiene il contrario, come no, soprattutto nella sociologia ottocentesca.




13/3
2007

"Time", o come sprecarlo

Finalmente sono riuscito a vedere "Time", l’ultimo capolavoro del grande regista coreano (cinese? thailandese? ’sti ninja so’ tutti uguali) Kim Ki-Duk. Sono ironico, evidentemente. A scanso di equivoci, dirò subito che il film non mi è piaciuto per niente, lo giudico una stronzata colossale e penso che il regista, gli attori e tutta la troupe dovrebbero incatenarsi assieme e gettarsi nel mar della Cina*. Perché tanto odio?

Cominciamo dalla trama. C’è una tizia che ama un tipo belloccio ed è molto gelosa di lui, gli fa le scenate al bar perché guarda le cameriere e fa il galletto con le tipe, spacca tutti i bicchieri e se ne va. Fin qui niente di che. Lei è ossessionata dalla paura che lui si stanchi del suo viso, lo accusa di volerla tradire, si fa mille paranoie ed infine scompare dalla sua vita e va a farsi una plastica facciale per cambiare completamente aspetto. Intanto, lui stava pensando all’esclusione dell’Inter dalla Cempions Lig.
Per tutto il periodo in cui è costretta a tenere le bende sul viso lei si nasconde e lo sorveglia, impedendogli ripetutamente l’accoppiamento con altre femmine della specie, perché il tipo è un gran cucador. Dopo sei mesi lei torna con una faccia nuova, si finge cameriera del abr dove lui va sempre, rientra nella sua vita senza farsi riconoscere, gli insegna a tirare il pane ai gabbiani (lui, stupido, inizialmente lo mangia anziché lanciarlo), lo fa innamorare, dopodiché ricomincia a piantargli paletti di gelosia nel culo perché lui ancora pensa all’altra sua fidanzata scomparsa mesi prima. Che è sempre lei, come il lettore più attento ricorderà. E lei gli fa i cazziatoni al bar, rompendo i bicchieri ed andandosene senza pagare.
Lui la manda a cagare, poi si pente, torna da lei strisciando, poi lei gli fissa un appuntamento con la sua vecchia se stessa, lui va in panico, lei gli fa i cazziatoni, lui va all’appuntamento con la sua ex (ma è sempre lei!) e qui capisce che le due tipe sono la stessa persona, una più psicopatica dell’altra. E allora che fa? Fa a botte con un tizio, se ne esce dal bar senza pagare, la manda a cagare entrambe, poi si pente e torna da lei strisciando di nuovo (è un uomo). Lei si nega.
Allora lui va dal plastichirurgo e si fa cambiare faccia anche lui. Ed il giochino ricomincia da capo, con lei che lo cerca dappertutto cercando di capire dietro quale faccia si nasconda il suo amore. Sarà forse lo stupratore incontrato per caso al bar? Sarà il fotografo maniaco che la segue dappertutto? Po’ esse. O forse no? Verrebbe da dire che qui lei comincia a sclerare, ma come il lettore più attento avrà già notato, lei tanto normale non è mai stata.
Il finale, è uno di quei finali a sorpresa che si capiscono già al terzo minuto del film, anche se sono sicuro che Kim Ki-Duk si sta ancora fregando le mani compiaciuto per tanto colpo di genio ed originalità. Spero si sloghi un polso.

Il fatto è che ’sta sbobba sarebbe anche potuta essere bellina, se il film durasse sui venti minuti. Ci sono due o tre idee: la gelosia ossessiva che nasce dall’insicurezza, l’amore che si sente perso quando non può più agganciarsi all’aspetto esteriore, l’importanza di essere belli fuori e psicopatici dentro, il fatto che nei bar coreani puoi andare a piantare casini ogni due giorni spaccando bicchieri, minacciando gli altri clienti ed andandotene sempre senza pagare ed ancora la proprietaria continua ad accoglierti come se fossero contenti di vederti, l’isola con le sculture porno. E poi Kim Ki-Duk non è che manovra la macchina da presa alla cazzo**. Però in questo caso per quanto giri e rigiri il mestolo con grande perizia, di ingredienti nella sua minestra ce ne sono ben pochi. Forse ha cercato una sintesi tra il suo vecchio cinema crudele e quello patinato che è piaciuto tanto in occidente, che ne so? Forse voleva solo diventare schifosamente ricco.

[A questo proposito, ma ’sti coreani quanti soldi hanno? I protagonisti del film non fanno un cazzo dalla mattina alla sera, passano il tempo al bar a litigare o sull’isola delle statue porno a fare le belle colombelle amorose eppure vivono in case bellissime con mobili di design, hanno vestiti firmati sempre diversi e si fanno due plastiche facciali l’anno. Chi paga tutto ciò? Forse è a questa vita che ambisce Kim Ki-Duk?]

[Beh, francamente anch’io.]

Andate a vederlo solo se veramente, veramente avete un bell’orologio, perché sarà la cosa a cui presterete più attenzione durante la proiezione***.



*Indipendentemente dalla loro nazionalità, perché se cominciano uno a gettarsi nel mar della Cina, l’altro nel mar della Corea, quell’altra nel mar del Giappone, servirebbe una catena lunghissima

** Che è il modo in cui noi raffinati cinefili di provincia definiamo un regista dotato di estro e tocco poetico.

*** Il film è uscito nelle sale un anno fa, quindi evitare di vederlo dovrebbe essere abbastanza semplice. Non scaricatelo da Internet, in questo caso la polizia farebbe bene ad arrestarvi.




7/3
2007

Matusalemme parla

Passano le stagioni, sbocciano i nuovi fiori, tramontano le illusioni di un governo buono ed anch’io, è duro ammetterlo, comincio ad invecchiare. Mi si ammorbidiscono le linee, mi si indolenziscono le giunture, mi si increspano le rughe. Pantaloni di mezza taglia in più, spalla dolorante, quel genere di cose. Un po’ com’è succeso all’amico Fu qualche anno fa, per capirci. Non sono ancora un vecchio incartapecorito come Nello, detto "la mummia di Bosnia", né un rottame ambulante come Pierbulus, ma non sono neppure un ragazzino. Sono quasi messo male come Pornorambo, per dire. Io, che ogni alba arrossiva d’invidia quando mi vedeva e la primavera mi sputava addosso dalla rabbia.
Quand’ero un giovanotto, anni fa, ero contento che la gente guardando le foto mie e di mio fratello scambiasse me per il più vecchio, perché negli anni ’90 "vecchio" era sinonimo di "adulto". Nei crudeli anni 2mila, "vecchio" è sinonimo solo di "vecchio", ed io disegno rughe artificiali sulle foto di mio fratello.
Poi mi consolo pensando che tutti i miei amici stanno messi peggio di me, tranne il Conte di Cavour. Ma il Conte compensa con la demenza senile, primo caso acclamato sotto i trent’anni.

Bene, ok, non rimarrò giovane per sempre, non che ci contassi, solo che non sono preparato. Come si affronta psicologicamente questo inarrestabile decadimento fisico*? Tutti gli altri fanno finta di niente? Non ci sono dei circoli di autosostegno, dei corsi f.s.e. per trentenni** in crisi di trentennità? Dei telefilm sull’argomento? E lo Stato che fa?

Poi mi sento dire che l’importante è rimanere giovani dentro. Riesco ancora a bermi mezza bottiglia di crema di limoncello con Pornorambo senza risentirne la mattina dopo, e questo è quello che in veneto si intende per "giovani dentro". Ma io voglio rimanere giovane anche fuori. Lo so che dovrei accettare serenamente la realtà, in fondo sono l’avanguardia dell’illuminazione zen, no? Il tempo è illusione, le rughe sono illusione, l’illusione è illusione, eccetera. Tuttavia.
Offresi ricompensa.



* A parte la cremina antirughe l’Oreal for men, s’intende.
** Non che io sia così anziano, ovviamente. Mancano ancora oltre 200 giorni a quel traumatico momento di passaggio.




28/2
2007

Stupido cavallo di pezza

Stamattina mi sono svegliato che c’era la nebbia e faceva freddo. Non capita spesso che ci sia la nebbia, al Borgo, di solito il cielo è di un grigio chiaro uniforme e c’è giusto quel sottilissimo velo di foschia di cui neanche t’accorgi. Una volta ho visto anche il cielo azzurro, dieci o quindici anni fa, ma non ne sono sicuro. Comunque, oggi pare che inverni un po’.

L’arte dello stupire con effetti specialiIeri sera ho visto con considerevole ritardo "L’arte del sogno" di Michel Gondry. Ne avevo sentito parlare molto e molto bene e devo dire che, francamente, vale la pena di essere visto. Purché abbiate un’ora e mezzo da perdere a guardare un film estremamente inutile, o proviate un sottile piacere nel rimanere delusi per avere conferma del fatto che il mondo è una merda (ci sono anche quelli, eh). Tanto per dirne una, il protagonista è uno psicopatico che soffre di allucinazioni e manie di persecuzione, paranoico e molto pericoloso, e ce lo spacciano per un romantico sognatore; la tizia, lì, la Charlotte Gainsbourg, quando se lo vede entrare in casa dovrebbe barricarsi in bagno e chiamare i carabinieri, che un matto del genere se ti ci fidanzi finisci in cronaca nera nel giro di sei mesi. E poi sì, qualche idea interessante, ma cosa c’era realmente di nuovo? Ora ovviamente ve la prenderete tutti con me che sono troppo freddo e razionale per apprezzare film del genere e blablabla e quant’è visionario ed immaginifico e che belli gli effetti speciali ed i pupazzetti di stoffa pucci pucci e blablabla e che bravi gli attori e che regia e che fotografia e che cuore di pietra che ho, ma io vi avverto: questo è il vero prequel de Il silenzio degli innocenti. L’Arte del Sogno 2 sarà con Stephane che uccide Stephanie e se la mangia, convinto di essere in uno dei suoi trip nella caverna di Bin Laden con i talebani di pezza.

Prosegue la lettura di Imperium di Kapuscinski, chi ha cominciato con me avrà già fatto il giro di Tbilisi tre volte.




26/2
2007

Ascoltate la base: la base ha un consiglio

DalMolinpiendevin






26/2
2007

Follini è vivo e lotta assieme a noi

Scusate se riciclo una vecchia foto, ma a proposito di riciclaggio...Lo sapevo, lo sapevamo che non ci avrebbe abbandonato. Forse che non ha mai avuto paura Superman? Forse che non ha mai tremato Che Guevara? Ma se pure questi eroi hanno ceduto alla tentazione di ritirarsi dalle scene, di scomparire per qualche tempo, hanno poi ritrovato il loro coraggio e rinnovato i loro sforzi in difesa di ciò in cui credevano. Come loro, anche Follini può aver vissuto una quindicina di mesi di sconforto, aver avuto momenti di cedimento, ma alla fine si è saputo rialzare dalla polvere e balzare senza timore in difesa dei deboli e degli oppressi, anche a rischio di beccarsi un sottosegretariato. Perché lui è un eroe ed un eroe è quello che è.

Grazie, Subcomandante Marco, per essere tornato alla guida di questo paese, e perdonaci se per qualche istante abbiamo dubitato della tua integrità. Ora che la stabilità del governo Brodi è affidato a due incorruttibili guardiani come te e Giulio Andreotti, potremo dormire tutti sonni tranquilli.

Ed io posso riappendere il poster in camera.




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